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Il sistema dei farmaci generici in Italia. Scenari per una crescita sostenibile.
Presentazione del rapporto Nomisma e avvio di un tavolo di lavoro.
Dott.ssa Marcella Marletta
Direttore Generale della Direzione Generale
dei Dispositivi Medici e del Servizio Farmaceutico
Premessa
Le accresciute preoccupazioni in merito all’aumento della spesa sanitaria e le ricorrenti proposte di
intervento in favore del contenimento di quella farmaceutica hanno determinato un crescente interesse
per i farmaci generici, considerati uno dei veicoli possibili per la riduzione del finanziamento pubblico delle
cure sanitarie.
A mio giudizio, l’uso bilanciato di medicinali innovativi e di medicinali generici rappresenta uno step
basilare per uno Stato moderno, che presta adeguata attenzione sia alla salute dei propri cittadini che alle
esigenze economico - finanziarie di bilancio.
Nel ricercare questo punto di equilibrio è chiamata in pieno la responsabilità del legislatore così come
quella dei principali attori operanti sul mercato, in primo luogo, medico e farmacista.
I problemi strutturali del mercato italiano
L’Italia attualmente vive il paradosso di avere i farmaci coperti da brevetto meno cari d’Europa al cospetto
di prodotti off - patent (branded e unbranded) tendenzialmente più costosi rispetto agli altri paesi europei.
Ciò porta a un mercato che non ha possibilità di evolvere in senso virtuoso.
Forse è arrivato il momento, anche in Italia, di pensare a delle soluzioni in grado di sviluppare una politica in
grado di incrementare l’utilizzo di questi ultimi incidendo sull’assetto strutturale nel quale, grazie ai grandi
volumi, i farmaci generici potranno esercitare tutto il loro potenziale di risparmio.
Le azioni che hanno caratterizzato il recente passato nel comparto dei farmaci generici
La diffusione dei farmaci equivalenti è stato uno degli aspetti su cui il precedente Governo Monti ha
insistito maggiormente tanto da far registrare un anno 2012 molto positivo per le aziende del comparto.
La leva su cui si è imperniato questo successo la si deve ricercare, certamente, nell’introduzione della
prescrizione per principio attivo - modifica che, si ricorda, ha suscitato diverse e numerose polemiche. Da
quel momento, infatti, il comparto ha registrato un incremento non così forte come le aziende genericiste
si sarebbero aspettate ma, senza alcun dubbio, positivo.
Insomma, anche se ancora non si raggiungono le percentuali di vendita registrate in Europa, l'introduzione
dell'obbligo di prescrizione del principio attivo sembra funzionare.
Le issues su cui si concentra l’attività dell’associazione
Assogenerici, facendo riferimento a quanto indicato nel documento elaborato circa due anni fa dai Saggi
nominati dall’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, denuncia che nel nostro paese
permangono ancora ostacoli all’accesso al mercato degli equivalenti, dovuti a pratiche da tempo censurate
dalla Commissione europea. Un settore, denuncia l’associazione, visto da molti ancora come una malattia
esogena che mina il comparto farmaceutico italiano.
In generale, l’associazione si allinea alle richieste di Farmindustria in merito alla necessità di avere un
periodo di stabilità delle regole a medio termine ma anche sulla questione dei pagamenti dovuti dalla
Pubblica Amministrazione verso le aziende fornitrici e l’associata richiesta di avviare una compenzasione tra
debiti e crediti e della riduzione dei tempi autorizzativi degli investimenti industriali.
Ma si discosta quando si affrontano temi più specifici del comparto. Ad esempio l’associazione punta
decisamente ad introdurre modifiche alle regole che sono alla base del payback in caso di sfondamento del
tetto fissato per la spesa ospedaliera e per la spesa territoriale. Il meccanismo, denuncia l’associazione,
viene applicato senza distinzione a tutte le tipologie di farmaci, siano essi coperti o meno da brevetto,
prevedendo per tutte le aziende lo stesso tasso di crescita (o non crescita) ed imponendo una medesima
disciplina a situazioni sostanzialmente differenti, senza tenere in conto la particolarità delle aziende che
producono farmaci equivalenti, che, per il solo fatto di essere disponibili sul mercato ed avendo negoziato
un prezzo di rimborso nettamente inferiore al farmaco originator di riferimento, contribuiscono in maniera
sostanziale alla riduzione della spesa farmaceutica stessa. Si trovano, quindi, nella situazione di dover
ripianare una spesa farmaceutica che hanno contribuito a ridurre.
I farmaci biotecnologici
La spesa del SSN per i farmaci biotecnologici in Italia ha raggiunto, nel 2012, quota 3,5 miliardi di euro, pari
al 12,5% della spesa farmaceutica complessiva a carico del SSN e al 34,5% della spesa per farmaci acquistati
dalle strutture sanitarie, inclusi i farmaci successivamente distribuiti direttamente al paziente o per tramite
delle farmacie aperte al pubblico nell’ambito di accordi di distribuzione per conto.
Il tasso di crescita medio annuale della spesa per farmaci biotecnologici dal 2009 al 2012 è stato pari al
6,4%.
I dati ci fanno comprendere come questa tipologia di farmaci appaiono destinati ad occupare spazi sempre
più rilevanti nel mercato. Si stima che nei prossimi anni su cento farmaci almeno 48 saranno biologici e che
la percentuale di prescrizione di questi prodotti supererà ampiamente quella dei medicinali destinati alle
cure primarie (70% contro 30%).
Si evidenzia che il contesto in cui si inseriscono queste cifre è caratterizzato da un trend in salita per la
spesa farmaceutica italiana. Dopo il calo registrato dai 26,3 miliardi del 2011 ai 25,5 miliardi del 2012, il
dato è, infatti, ripreso a salire toccando, nel 2013, i 26,1 miliardi di euro (+ 2,3% rispetto all’anno
precedente), di cui il 75,4% rimborsato dal Ssn. In media, per ogni cittadino italiano, la spesa di farmaci è
stata di circa 436 euro (dati ricavati dal Rapporto dell’Osservatorio nazionale sull’impiego dei Medicinali -
OsMed).
In questo Rapporto viene confermato, in particolare, lo sfondamento del tetto della spesa farmaceutica
ospedaliera anche se in maniera inferiore a causa (ndr.), fondamentalmente, della rimodulazione dei tetti
percentuali per le due voci di spesa. Infatti, se fino allo scorso anno il limite per la spesa farmaceutica
ospedaliera era fissato al 2,4% del Fsn, a partire da quest’anno il tetto si è alzato fino al 3,5% del Fsn (in
pratica, nel 2013, la spesa ospedaliera doveva rimanere all’interno di 3.725 milioni di euro).
Tale trend difficilmente cambierà direzione. La spesa farmaceutica ospedaliera è destinata a crescere. E’
una dinamica fisiologica come del resto indicano tutti i dati storici. Ed il trend di incremento, purtroppo, si
registrerà a prescindere dagli interventi di razionalizzazione e efficientamento che vengono e verranno
attuati. Ci si trova, quindi, in un momento di forte criticità caratterizzato dall’introduzione di nuovi farmaci,
sempre più costosi, in tutti i sistemi sanitari. E questa è una situazione che accomuna tutti paesi e non vede
l’Italia in una condizione di particolarità.
In termini generali, la criticità è rappresentata dal cambiamento radicale di modello di sviluppo dei farmaci.
Si passa dal modello a block - buster, farmaco adatto a più terapie, a un modello di medicina e di terapia
sempre più personalizzata. Questo approccio, evidentemente, pone delle nuove sfide relative alla
sostenibilità del sistema sanitario a cui va aggiunto un altro elemento: l’invecchiamento della popolazione
che comporta un utilizzo maggiore di farmaci.
A livello di scenario è bene ricordare che dal 2007 ad oggi il fabbisogno farmaceutico è stato ridotto in
modo considerevole. Siamo passati da un 16,4 di incidenza rispetto al fondo sanitario nazionale a un
14,85%.
Questa riduzione è stata possibile anche grazie, ma non solo, alla genericazione di molti farmaci che hanno
fatto scendere il prezzo anche del 75% permettendo che la sostenibilità del sistema si potesse mantenere.
Tale dato ci fa comprendere che l’opzione offerta da un utilizzo ragionato e controllato dei farmaci
biosimilari, in un ottica di sostenibilità del sistema, non può essere persa.
E le stime di questo settore ci confermano quanto appena affermato. Fra il 2015 e il 2020 andranno in
scadenza un numero rilevante di brevetti che aprirà, inevitabilmente, la strada all’ingresso di nuove
categorie di farmaci “biosimilari”, soprattutto in aree terapeutiche ad alto costo come l’ematologia e
l’oncologia. Nello specifico, si stimano risparmi fra i 165 e 200 milioni di euro nel 2015 e fra i 450 ed i 570
nel 2020.
Ultimo dato. Oggi la penetrazione di questi farmaci sul mercato avvicina l’Italia alle altre principali realtà
europee: in Italia i biosimilari rappresentano circa il 30% del mercato di riferimento, contro il quasi 50%
della Germania e il 40% circa di Francia, Spagna e Gran Bretagna.
l nodi da sciogliere
Ora se è importante considerare le esigenze di risparmio, elemento fondamentale per garantire un ampio
margine di sostenibilità del Servizio sanitario bisogna ricordare, con altrettanta enfasi, che tale esigenza
non può sottacere quella che è il primo dovere per chi gestisce la cosa pubblica ed, in particolare, la salute
dei cittadini: la necessità di salvaguardare la sicurezza dei pazienti.
Ed in tale senso i nodi da sciogliere sono molteplici. Mi riferisco al profilo della sicurezza e dell’efficacia del
biosimilare, della comparabilità clinica, dell’interscambiabilità tra biologico e biosimilare.
Le norme di Ema e Aifa, infatti, parlano chiaro: il farmaco biosimilare non può essere considerato uguale al
farmaco biologico di riferimento, perché la procedura biotecnologica di produzione è diversa.
E sul principio della “continuità terapeutica”, ovvero sull’opportunità di non modificare la terapia in corso
con un farmaco biologico, avvalorato dalle Linee Guida Aifa, dobbiamo registrare la convergenza di gran
parte della comunità scientifica.
Dal momento che biologici e biosimilari non sono identici, ciò che viene valutato è l’effetto terapeutico del
biosimilare, che deve essere lo stesso del farmaco originatore senza compromettere la sicurezza. Ma
proprio su questo punto emergono i problemi, perché al momento mancano adeguate evidenze cliniche in
termini di efficacia che legittimino l’interscambiabilità e, quindi, il passaggio dal farmaco originatore al suo
biosimilare.
Altrettanto condivise sono le riserve sulla possibilità, prevista dal regolamento Ema, di “estrapolare”, cioè
trasferire al biosimilare, le indicazioni terapeutiche già approvate per il farmaco originatore anche in
assenza di studi diretti. Estrapolare, dal punto di vista metodologico e statistico, non è sempre una garanzia
scientifica. Gli studi di non inferiorità non sempre possono essere ritenuti metodologicamente sufficienti
per poter estrapolare i dati in altre indicazioni terapeutiche per quanto concerne l’efficacia clinica.
Ricordo che le Linee Guida Ema, ritengono indispensabile un dossier di registrazione che riporti studi
comparativi preclinici e clinici, per dimostrare che il farmaco possiede un profilo sovrapponibile a quello del
prodotto di riferimento quanto ad efficacia, sicurezza e qualità.
Le possibili soluzioni
Gli elementi chiave per lo sviluppo del mercato dei farmaci generici in Italia sono individuabili nell’aumento
dei volumi di vendita e nella velocità della immissione in commercio della versione generica dopo la
scadenza brevettuale del farmaco “originator”. Tali riforme investono tutti gli operatori del mercato ma
anche figure quali il medico ed il farmacista, attori indispensabili nella prescrizione e dispensazione di tali
prodotti al paziente, oltre, ovviamente, alle istituzioni referenti per il settore farmaceutico, quali il
Ministero della salute e l’Aifa.
Di seguito si segnalano alcune ipotesi di lavoro in grado, potenzialmente, di sviluppare il mercato in Italia:
Per il medico di medicina generale:
1. costruzione di un sistema incentivante nella prescrizione di farmaci generici;
2. ridefinire il ruolo del medico che consenta una sua maggiore responsabilizzazione finanziaria attraverso
l’istituzione di plafond di spesa (budget).
In questo senso, il budget per il medico prescrittore ha ben funzionato in Germania e Gran Bretagna. La
proposta andrebbe studiata in linea con il nuovo assetto pensato su base federalista. In altre parole, il
budget dovrà essere calcolato a livello regionale;
3. prevedere l’attivazione di norme, o la stipula di accordi a livello regionale, che stabiliscano il
mantenimento di una percentuale di prescrizione (ad esempio il 30%) sui prodotti non coperti da brevetto.
Al raggiungimento di tali obiettivi si potrebbe pensare a forme d’incentivazione per il medico proscrittore.
La proposta mira a frenare il fenomeno dello “switch prescrittivo” caratterizzato dall’abbandono di
molecole “off – patent” a favore di molecole “patent”;
4. prevedere un’evoluzione di quanto stabilito dalla legge n. 405 del 2001 confermando, quindi, la facoltà
del medico di precludere la sostituzione da parte del farmacista, a patto che si motivino chiaramente le
ragioni di questa scelta (es. accompagnare la dicitura “insostituibile” con i motivi che l’hanno suggerita).
Ovvero, si dovrebbe garantire al medico, nel caso prescriva un farmaco indicando il principio attivo e
l’azienda produttrice che il paziente non riceva un prodotto differente. In altre parole, vietare la
sostituzione tra generico e generico, per limitarla alle ricette recanti il solo principio attivo.
Per il farmacista:
1. rivisitazione della politica dei margini riconosciuti, il cui guadagno è oggi progressivo, ovvero
proporzionale al prezzo del farmaco dispensato, quindi disincentivante rispetto alla consegna di prodotti
meno costosi;
2. modificare la norma sulla sostituibilità con incentivi per i farmacisti, che rendano conveniente la
dispensazione del farmaco generico più economico; quest’ultimo, ovviamente, non dovrà essere oggetto
della indicata “non sostituibilità” o dell’indicazione del principio attivo abbinato al nome dell’azienda, da
parte del medico.
Conclusioni
L’occasione offre la possibilità per rivolgere un appello ai principali attori del sistema affinché aiutino le
Istituzioni competenti a realizzare, ancora con più concretezza, le riforme già definite e quelle che verranno,
in particolare, nel settore farmaceutico. In questo ambito, sarà centrale il ruolo svolto dal settore del
farmaco generico e biosimilare.
E’ una richiesta dettata dall’oramai ineludibile uso razionale delle risorse del servizio sanitario nazionale,
che potranno, così, essere indirizzate per lo sviluppo, l’utilizzo e la rimborsabilità dei farmaci innovativi
destinati alla cura delle nuove patologie.
E’ un’azione non più rinviabile per le sorti di tutto il comparto farmaceutico e, dell’intero Paese.
Come detto, l'aumento della vendita dei farmaci generici registratosi negli ultimi mesi con l'introduzione
dell'obbligo di indicare il principio attivo sulle ricette mediche, è stato un fattore positivo. Lentamente ci
stiamo avvicinando ai numeri dell'Europa e stiamo riequilibrando il settore. Un pensiero condiviso anche
dal Ministro Lorenzin che nel corso di un incontro ha evidenziato come questo settore rappresenti un
comparto in crescita e per tale ragione meritevole di essere sostenuto.

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Marcella Marletta - Il sistema dei farmaci generici in Italia

  • 1. Il sistema dei farmaci generici in Italia. Scenari per una crescita sostenibile. Presentazione del rapporto Nomisma e avvio di un tavolo di lavoro. Dott.ssa Marcella Marletta Direttore Generale della Direzione Generale dei Dispositivi Medici e del Servizio Farmaceutico Premessa Le accresciute preoccupazioni in merito all’aumento della spesa sanitaria e le ricorrenti proposte di intervento in favore del contenimento di quella farmaceutica hanno determinato un crescente interesse per i farmaci generici, considerati uno dei veicoli possibili per la riduzione del finanziamento pubblico delle cure sanitarie. A mio giudizio, l’uso bilanciato di medicinali innovativi e di medicinali generici rappresenta uno step basilare per uno Stato moderno, che presta adeguata attenzione sia alla salute dei propri cittadini che alle esigenze economico - finanziarie di bilancio. Nel ricercare questo punto di equilibrio è chiamata in pieno la responsabilità del legislatore così come quella dei principali attori operanti sul mercato, in primo luogo, medico e farmacista. I problemi strutturali del mercato italiano L’Italia attualmente vive il paradosso di avere i farmaci coperti da brevetto meno cari d’Europa al cospetto di prodotti off - patent (branded e unbranded) tendenzialmente più costosi rispetto agli altri paesi europei. Ciò porta a un mercato che non ha possibilità di evolvere in senso virtuoso. Forse è arrivato il momento, anche in Italia, di pensare a delle soluzioni in grado di sviluppare una politica in grado di incrementare l’utilizzo di questi ultimi incidendo sull’assetto strutturale nel quale, grazie ai grandi volumi, i farmaci generici potranno esercitare tutto il loro potenziale di risparmio. Le azioni che hanno caratterizzato il recente passato nel comparto dei farmaci generici La diffusione dei farmaci equivalenti è stato uno degli aspetti su cui il precedente Governo Monti ha insistito maggiormente tanto da far registrare un anno 2012 molto positivo per le aziende del comparto. La leva su cui si è imperniato questo successo la si deve ricercare, certamente, nell’introduzione della prescrizione per principio attivo - modifica che, si ricorda, ha suscitato diverse e numerose polemiche. Da quel momento, infatti, il comparto ha registrato un incremento non così forte come le aziende genericiste si sarebbero aspettate ma, senza alcun dubbio, positivo. Insomma, anche se ancora non si raggiungono le percentuali di vendita registrate in Europa, l'introduzione dell'obbligo di prescrizione del principio attivo sembra funzionare. Le issues su cui si concentra l’attività dell’associazione Assogenerici, facendo riferimento a quanto indicato nel documento elaborato circa due anni fa dai Saggi nominati dall’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, denuncia che nel nostro paese permangono ancora ostacoli all’accesso al mercato degli equivalenti, dovuti a pratiche da tempo censurate
  • 2. dalla Commissione europea. Un settore, denuncia l’associazione, visto da molti ancora come una malattia esogena che mina il comparto farmaceutico italiano. In generale, l’associazione si allinea alle richieste di Farmindustria in merito alla necessità di avere un periodo di stabilità delle regole a medio termine ma anche sulla questione dei pagamenti dovuti dalla Pubblica Amministrazione verso le aziende fornitrici e l’associata richiesta di avviare una compenzasione tra debiti e crediti e della riduzione dei tempi autorizzativi degli investimenti industriali. Ma si discosta quando si affrontano temi più specifici del comparto. Ad esempio l’associazione punta decisamente ad introdurre modifiche alle regole che sono alla base del payback in caso di sfondamento del tetto fissato per la spesa ospedaliera e per la spesa territoriale. Il meccanismo, denuncia l’associazione, viene applicato senza distinzione a tutte le tipologie di farmaci, siano essi coperti o meno da brevetto, prevedendo per tutte le aziende lo stesso tasso di crescita (o non crescita) ed imponendo una medesima disciplina a situazioni sostanzialmente differenti, senza tenere in conto la particolarità delle aziende che producono farmaci equivalenti, che, per il solo fatto di essere disponibili sul mercato ed avendo negoziato un prezzo di rimborso nettamente inferiore al farmaco originator di riferimento, contribuiscono in maniera sostanziale alla riduzione della spesa farmaceutica stessa. Si trovano, quindi, nella situazione di dover ripianare una spesa farmaceutica che hanno contribuito a ridurre. I farmaci biotecnologici La spesa del SSN per i farmaci biotecnologici in Italia ha raggiunto, nel 2012, quota 3,5 miliardi di euro, pari al 12,5% della spesa farmaceutica complessiva a carico del SSN e al 34,5% della spesa per farmaci acquistati dalle strutture sanitarie, inclusi i farmaci successivamente distribuiti direttamente al paziente o per tramite delle farmacie aperte al pubblico nell’ambito di accordi di distribuzione per conto. Il tasso di crescita medio annuale della spesa per farmaci biotecnologici dal 2009 al 2012 è stato pari al 6,4%. I dati ci fanno comprendere come questa tipologia di farmaci appaiono destinati ad occupare spazi sempre più rilevanti nel mercato. Si stima che nei prossimi anni su cento farmaci almeno 48 saranno biologici e che la percentuale di prescrizione di questi prodotti supererà ampiamente quella dei medicinali destinati alle cure primarie (70% contro 30%). Si evidenzia che il contesto in cui si inseriscono queste cifre è caratterizzato da un trend in salita per la spesa farmaceutica italiana. Dopo il calo registrato dai 26,3 miliardi del 2011 ai 25,5 miliardi del 2012, il dato è, infatti, ripreso a salire toccando, nel 2013, i 26,1 miliardi di euro (+ 2,3% rispetto all’anno precedente), di cui il 75,4% rimborsato dal Ssn. In media, per ogni cittadino italiano, la spesa di farmaci è stata di circa 436 euro (dati ricavati dal Rapporto dell’Osservatorio nazionale sull’impiego dei Medicinali - OsMed). In questo Rapporto viene confermato, in particolare, lo sfondamento del tetto della spesa farmaceutica ospedaliera anche se in maniera inferiore a causa (ndr.), fondamentalmente, della rimodulazione dei tetti percentuali per le due voci di spesa. Infatti, se fino allo scorso anno il limite per la spesa farmaceutica ospedaliera era fissato al 2,4% del Fsn, a partire da quest’anno il tetto si è alzato fino al 3,5% del Fsn (in pratica, nel 2013, la spesa ospedaliera doveva rimanere all’interno di 3.725 milioni di euro). Tale trend difficilmente cambierà direzione. La spesa farmaceutica ospedaliera è destinata a crescere. E’ una dinamica fisiologica come del resto indicano tutti i dati storici. Ed il trend di incremento, purtroppo, si registrerà a prescindere dagli interventi di razionalizzazione e efficientamento che vengono e verranno attuati. Ci si trova, quindi, in un momento di forte criticità caratterizzato dall’introduzione di nuovi farmaci,
  • 3. sempre più costosi, in tutti i sistemi sanitari. E questa è una situazione che accomuna tutti paesi e non vede l’Italia in una condizione di particolarità. In termini generali, la criticità è rappresentata dal cambiamento radicale di modello di sviluppo dei farmaci. Si passa dal modello a block - buster, farmaco adatto a più terapie, a un modello di medicina e di terapia sempre più personalizzata. Questo approccio, evidentemente, pone delle nuove sfide relative alla sostenibilità del sistema sanitario a cui va aggiunto un altro elemento: l’invecchiamento della popolazione che comporta un utilizzo maggiore di farmaci. A livello di scenario è bene ricordare che dal 2007 ad oggi il fabbisogno farmaceutico è stato ridotto in modo considerevole. Siamo passati da un 16,4 di incidenza rispetto al fondo sanitario nazionale a un 14,85%. Questa riduzione è stata possibile anche grazie, ma non solo, alla genericazione di molti farmaci che hanno fatto scendere il prezzo anche del 75% permettendo che la sostenibilità del sistema si potesse mantenere. Tale dato ci fa comprendere che l’opzione offerta da un utilizzo ragionato e controllato dei farmaci biosimilari, in un ottica di sostenibilità del sistema, non può essere persa. E le stime di questo settore ci confermano quanto appena affermato. Fra il 2015 e il 2020 andranno in scadenza un numero rilevante di brevetti che aprirà, inevitabilmente, la strada all’ingresso di nuove categorie di farmaci “biosimilari”, soprattutto in aree terapeutiche ad alto costo come l’ematologia e l’oncologia. Nello specifico, si stimano risparmi fra i 165 e 200 milioni di euro nel 2015 e fra i 450 ed i 570 nel 2020. Ultimo dato. Oggi la penetrazione di questi farmaci sul mercato avvicina l’Italia alle altre principali realtà europee: in Italia i biosimilari rappresentano circa il 30% del mercato di riferimento, contro il quasi 50% della Germania e il 40% circa di Francia, Spagna e Gran Bretagna. l nodi da sciogliere Ora se è importante considerare le esigenze di risparmio, elemento fondamentale per garantire un ampio margine di sostenibilità del Servizio sanitario bisogna ricordare, con altrettanta enfasi, che tale esigenza non può sottacere quella che è il primo dovere per chi gestisce la cosa pubblica ed, in particolare, la salute dei cittadini: la necessità di salvaguardare la sicurezza dei pazienti. Ed in tale senso i nodi da sciogliere sono molteplici. Mi riferisco al profilo della sicurezza e dell’efficacia del biosimilare, della comparabilità clinica, dell’interscambiabilità tra biologico e biosimilare. Le norme di Ema e Aifa, infatti, parlano chiaro: il farmaco biosimilare non può essere considerato uguale al farmaco biologico di riferimento, perché la procedura biotecnologica di produzione è diversa. E sul principio della “continuità terapeutica”, ovvero sull’opportunità di non modificare la terapia in corso con un farmaco biologico, avvalorato dalle Linee Guida Aifa, dobbiamo registrare la convergenza di gran parte della comunità scientifica. Dal momento che biologici e biosimilari non sono identici, ciò che viene valutato è l’effetto terapeutico del biosimilare, che deve essere lo stesso del farmaco originatore senza compromettere la sicurezza. Ma proprio su questo punto emergono i problemi, perché al momento mancano adeguate evidenze cliniche in termini di efficacia che legittimino l’interscambiabilità e, quindi, il passaggio dal farmaco originatore al suo biosimilare.
  • 4. Altrettanto condivise sono le riserve sulla possibilità, prevista dal regolamento Ema, di “estrapolare”, cioè trasferire al biosimilare, le indicazioni terapeutiche già approvate per il farmaco originatore anche in assenza di studi diretti. Estrapolare, dal punto di vista metodologico e statistico, non è sempre una garanzia scientifica. Gli studi di non inferiorità non sempre possono essere ritenuti metodologicamente sufficienti per poter estrapolare i dati in altre indicazioni terapeutiche per quanto concerne l’efficacia clinica. Ricordo che le Linee Guida Ema, ritengono indispensabile un dossier di registrazione che riporti studi comparativi preclinici e clinici, per dimostrare che il farmaco possiede un profilo sovrapponibile a quello del prodotto di riferimento quanto ad efficacia, sicurezza e qualità. Le possibili soluzioni Gli elementi chiave per lo sviluppo del mercato dei farmaci generici in Italia sono individuabili nell’aumento dei volumi di vendita e nella velocità della immissione in commercio della versione generica dopo la scadenza brevettuale del farmaco “originator”. Tali riforme investono tutti gli operatori del mercato ma anche figure quali il medico ed il farmacista, attori indispensabili nella prescrizione e dispensazione di tali prodotti al paziente, oltre, ovviamente, alle istituzioni referenti per il settore farmaceutico, quali il Ministero della salute e l’Aifa. Di seguito si segnalano alcune ipotesi di lavoro in grado, potenzialmente, di sviluppare il mercato in Italia: Per il medico di medicina generale: 1. costruzione di un sistema incentivante nella prescrizione di farmaci generici; 2. ridefinire il ruolo del medico che consenta una sua maggiore responsabilizzazione finanziaria attraverso l’istituzione di plafond di spesa (budget). In questo senso, il budget per il medico prescrittore ha ben funzionato in Germania e Gran Bretagna. La proposta andrebbe studiata in linea con il nuovo assetto pensato su base federalista. In altre parole, il budget dovrà essere calcolato a livello regionale; 3. prevedere l’attivazione di norme, o la stipula di accordi a livello regionale, che stabiliscano il mantenimento di una percentuale di prescrizione (ad esempio il 30%) sui prodotti non coperti da brevetto. Al raggiungimento di tali obiettivi si potrebbe pensare a forme d’incentivazione per il medico proscrittore. La proposta mira a frenare il fenomeno dello “switch prescrittivo” caratterizzato dall’abbandono di molecole “off – patent” a favore di molecole “patent”; 4. prevedere un’evoluzione di quanto stabilito dalla legge n. 405 del 2001 confermando, quindi, la facoltà del medico di precludere la sostituzione da parte del farmacista, a patto che si motivino chiaramente le ragioni di questa scelta (es. accompagnare la dicitura “insostituibile” con i motivi che l’hanno suggerita). Ovvero, si dovrebbe garantire al medico, nel caso prescriva un farmaco indicando il principio attivo e l’azienda produttrice che il paziente non riceva un prodotto differente. In altre parole, vietare la sostituzione tra generico e generico, per limitarla alle ricette recanti il solo principio attivo. Per il farmacista: 1. rivisitazione della politica dei margini riconosciuti, il cui guadagno è oggi progressivo, ovvero proporzionale al prezzo del farmaco dispensato, quindi disincentivante rispetto alla consegna di prodotti meno costosi;
  • 5. 2. modificare la norma sulla sostituibilità con incentivi per i farmacisti, che rendano conveniente la dispensazione del farmaco generico più economico; quest’ultimo, ovviamente, non dovrà essere oggetto della indicata “non sostituibilità” o dell’indicazione del principio attivo abbinato al nome dell’azienda, da parte del medico. Conclusioni L’occasione offre la possibilità per rivolgere un appello ai principali attori del sistema affinché aiutino le Istituzioni competenti a realizzare, ancora con più concretezza, le riforme già definite e quelle che verranno, in particolare, nel settore farmaceutico. In questo ambito, sarà centrale il ruolo svolto dal settore del farmaco generico e biosimilare. E’ una richiesta dettata dall’oramai ineludibile uso razionale delle risorse del servizio sanitario nazionale, che potranno, così, essere indirizzate per lo sviluppo, l’utilizzo e la rimborsabilità dei farmaci innovativi destinati alla cura delle nuove patologie. E’ un’azione non più rinviabile per le sorti di tutto il comparto farmaceutico e, dell’intero Paese. Come detto, l'aumento della vendita dei farmaci generici registratosi negli ultimi mesi con l'introduzione dell'obbligo di indicare il principio attivo sulle ricette mediche, è stato un fattore positivo. Lentamente ci stiamo avvicinando ai numeri dell'Europa e stiamo riequilibrando il settore. Un pensiero condiviso anche dal Ministro Lorenzin che nel corso di un incontro ha evidenziato come questo settore rappresenti un comparto in crescita e per tale ragione meritevole di essere sostenuto.