5.
Antiquis temporibus Romani patres familias
uxoribus, liberis suis ac servis severo arbitrio
imperabant. In sacrificiis deis et deabus semper
opimas victimas praebebant ac immolabant, et sacra
rite perpetrabant. Patrimonium a patre familias
administrabatur, officia autem vitae domesticae a
matrona eiusque ancillis explebantur. Saepe uxores
cum suis ancillis in villae atrio per multas horas
lanam texebant vestibus propinquorum qui domi
habitabant. Interdum vespere a matribus toga
praetexta filiis et filiabus familiae parabatur, vel
vestis aspera a mulieribus texebatur servis
domesticis, quibus saepe domini superbe
imperabant. Saepe pater familias luxuriam molestum
detrimentum censebat, sed liberis suis ad eorum
necessitate voluptatesque pecuniam tribuebat.
Antichità (patria potestà)
6.
TRADUZIONE:
Nei tempi antichi i padri di famiglia romani comandavano con
una rigida disciplina sui figli, sulle mogli e sui servi. Durante i
sacrifici offrivano sempre vittime abbondanti agli dei e alle dee e le
immolavano e compivano secondo il rito le cerimonie religiose. Il
denaro era amministrato dal padre di famiglia. Invece i compiti
della vita domestica erano compiuti dalla madre di famiglia e dalle
sue ancelle. Spesso le mogli con le loro ancelle per molte ore
tessevano la lana nell’atrio della casa per i vestiti dei parenti che
abitavano nella casa. Talvolta di sera la toga pretexta veniva
preparata dalle madri per i figli e per le figlie oppure veniva
tessuta una veste da casa dalle donne per i servi da casa ai quali
spesso i padroni comandavano con superbia. Spesso il padre di
famiglia puniva la lussuria come cattivo difetto, ma talvolta dava i
soldi ai figli per le loro necessità.
Antichità (patria potestà)
7. La potestà genitoriale, così come stabilita dall’art. 155 c.c.
«Provvedimenti riguardo ai figli», comprende diritti sia di natura
personale sia di tipo patrimoniale che implicano la facoltà ai genitori
di:
custodire, ovvero destinare il proprio domicilio al minore, da cui non
può allontanarsi senza il consenso del tutore;
allevare, ovvero fornire il necessario per sopravvivere, per esempio
alimenti e vestiario
educare, secondo la diligenza del buon padre di famiglia, ai costumi
del luogo dettati dall’esperienza comune;
Oggi (patria potestà)
8.
istruire, eccezione questa tra le potestà, che consiste in un “obbligo
di risultato” il cui adempimento dipende dalla prestazione di terzi,
per esempio il sistema scolastico;
amministrare, sul piano ordinario, che comporta la gestione dei
rapporti a carattere patrimoniale conservandone la sostanza;
usufruire dei beni, che consiste nell’uso e nel godimento di una res
senza alterarne la destinazione d’uso;
rappresentare, vale dire poter compiere negozi giuridici in sua
vece, per es., al compimento degli obblighi scolastici, possono
stipulare il contratto lavorativo di apprendistato oppure per es.
permette di confrontarsi nel Consiglio di classe e con le autorità
sanitarie.
Questi diritti e doveri erano fino al 1975 solo del padre.
Oggi (patria potestà)
9.
La Lex Iulia de Adulteriis Coërcendis è una legge romana emanata per
volere dell'imperatore Augusto in un periodo supposto dal 18
a.C. al 16 a.C.. per disciplinare l'adulterio (crimen adulterii) e le varie
fattispecie che vi rientravano: incestum, stuprum, lenocinium. La legge fu
molto apprezzata dai letterati dell'epoca. Probabilmente la legge era un
rimaneggiamento di legislazioni precedenti sempre in materia, tra cui
una proposta o prodotta da Silla.
La Lex Iulia de Adulteriis Coërcendis prevedeva che, nel caso di adulterio
o stupro, fosse istituito un processo contro la moglie infedele e il
complice. La legge punisce la donna adultera "con la confisca della
metà della dote, la confisca della terza parte dei beni e con
la relegazione in un'isola", l'uomo adultero con la confisca della "metà
del patrimonio con uguale relegazione in un'isola, purché siano
relegati in isole diverse".
Antichità (adulterio)
10.
Il padre della donna aveva il diritto di
uccidere immediatamente la figlia e l'adultero, se colti in
flagrante nella propria casa o in quella del genero tradito (non
poteva risparmiare l'uno o l'altro, ma doveva necessariamente
ucciderli ambedue per non incorrere nell'accusa di omicidio),
mentre il marito aveva il diritto di uccidere l’amante, solo in
determinate circostanze, come ad esempio la sua appartenenza
ad un basso rango sociale (se l'amante era di alto lignaggio
allora si aveva la possibilità di catturarlo e tenerlo segregato per
un massimo di 20 ore consecutive, in modo da radunare i
testimonii necessari), e di ripudiare la consorte, ma non di
ucciderla. Se il marito non denunciava l'adulterio della moglie,
non cacciava la consorte e lasciava andar via l'amante colto in
flagrante, oppure sfruttava la cosa economicamente, veniva
accusato di lenocinio e punito come adultero.
Antichità (adulterio)
11.
Sebbene la legge fosse entrata in vigore intorno al 18 a.C. ci
sono testimonianze che mostrano come essa non venisse molto
rispettata. Quintiliano parla di transizione di denaro
dall'adultero colto in flagrante al marito tradito per
risparmiargli la vita, il che secondo la legge renderebbe l'ultimo
un lenone. Pare anche che, in piena funzione della legge, si
potesse ancora sfregiare e mutilare l'adultero colto in flagrante
senza ucciderlo.
La legge ben presto venne dimenticata. Tiberio fu costretto ad
attuare disposizioni per i dilaganti adulteri, anche se poco
funzionanti, di conseguenza la mancanza di moralità continuò a
dilagare fino a che Domiziano la reintrodusse vigorosamente,
ottenendo le lodi di Marziale.
Antichità (adulterio)
12.
In epoca imperiale, inoltre, si riscontra pian piano una
reintroduzione o accettazione del delitto d'onore da parte del
marito, che va contro la Lex Iulia. Il iustus dolor (giusto dolore) che
il marito provava era la giustificazione dei delitti. Marco Aurelio e
poi Commodo regolamentarono la cosa, giustificando il delitto
d'onore, ma punendo ugualmente l'omicida per non aver saputo
controllarsi non con ciò che dettava la legge sugli omicidii (Lex
Cornelia de sicariis et veneficiis), ma con i lavori forzati (per le
basse classi sociali) o la relegatio in insulam (per le alte classi
sociali). Anche l'uccisione dell'adultero da parte del marito,
accettata dalla Lex Iulia solo in determinate condizioni, qualora
avvenisse in condizione d'illegalità diveniva giustificabile e punita
con pena più lieve rispetto alla solita della Lex Cornelia.
Antichità (adulterio)
13. Inizio ‘900 (adulterio)
Art 559
-L'infedeltà
coniugale nel diritto italiano
era disciplinata dagli articoli
559 e 560 del codice penale,
che prevedevano
rispettivamente le fattispecie
di adulterio e concubinato.
14.
Per la moglie costituiva reato il semplice adulterio,
che vedeva punito anche il correo dell'adultera. La
pena era prevista in misura maggiore nel caso
di relazione adulterina. Il delitto era punibile
a querela del marito.
Quando a commettere il reato era il marito, invece,
l'infedeltà era punita solo nel caso in cui avesse
tenuto una concubina nella casa coniugale o
notoriamente altrove.
Inizio ‘900 (adulterio)
15.
Delitto d’onore:
Codice Penale, art. 587
Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella,
nell'atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato
d'ira determinato dall'offesa recata all'onor suo o della famiglia, è
punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace
chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in
illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.
In Italia, sino a pochi decenni fa, la commissione di
un delitto perpetrato al fine di salvaguardare l'onore (ad esempio
l'uccisione della coniuge adultera o dell'amante di questa o di
entrambi) era sanzionata con pene attenuate rispetto all'analogo delitto
di diverso movente, poiché si riconosceva che l'offesa all'onore
arrecata da una condotta "disonorevole" valeva di
gravissima provocazione, e la riparazione dell'onore non causava
riprovazione sociale.
Inizio ‘900 (adulterio)
16.
L'art. 587 del codice penale consentiva quindi che fosse ridotta la pena
per chi uccidesse la moglie (o il marito, nel caso ad esser tradita fosse
stata la donna), la figlia o la sorella al fine di difendere "l'onor suo o
della famiglia". La circostanza prevista richiedeva che vi fosse uno
stato d'ira (che veniva in pratica sempre presunto). La ragione della
diminuente doveva reperirsi in una "illegittima relazione carnale" che
coinvolgesse una delle donne della famiglia; di questa si dava per
acquisito, come si è letto, che costituisse offesa all'onore. Anche l'altro
protagonista della illegittima relazione poteva dunque essere ucciso
contro egual sanzione.
A titolo di chiarimento sulle mentalità generali su queste materie,
almeno al tempo della promulgazione del Codice Rocco (che però
riprendeva concetti già presenti nel Codice Zanardelli), va detto che
contemporaneamente vigeva l'istituto del "matrimonio riparatore", che
prevedeva l'estinzione del reato di violenza carnale nel caso che lo
stupratore di una minorenne accondiscendesse a sposarla, salvando
l'onore della famiglia.
Inizio ‘900 (adulterio e
matrimonio riparatore)
17.
« Non fu un gesto coraggioso. Ho fatto solo quello che mi sentivo di fare,
come farebbe oggi una qualsiasi ragazza: ho ascoltato il mio cuore, il
resto è venuto da sé. Oggi consiglio ai giovani di seguire i loro
sentimenti; non è difficile. Io l'ho fatto in una Sicilia molto diversa; loro
possono farlo guardando semplicemente nei loro cuori »
Franca Viola (Alcamo, 9 gennaio 1947) fu la prima donna italiana a
rifiutare il matrimonio riparatore. Divenne simbolo della crescita civile
dell'Italia nel secondo dopoguerra e dell'emancipazione delle donne
italiane.
Francesca Viola, detta Franca era figlia di una coppia di coltivatori
diretti e, all'età di quindici anni, con il consenso dei genitori si fidanzò
con Filippo Melodia, nipote del mafioso Vincenzo Rimi e membro di
una famiglia benestante. Tuttavia in quel periodo Melodia venne
arrestato per furto ed appartenenza ad una banda mafiosa e ciò
indusse il padre di Franca, Bernardo Viola, a rompere il fidanzamento;
per queste ragioni, la famiglia Viola fu soggetta ad una serie di
violente minacce ed intimidazioni: il loro vigneto venne distrutto, il
casolare annesso bruciato e Bernardo Viola addirittura minacciato con
una pistola al grido di "chista è chidda che scaccerà la testa a vossia" ma
tutto ciò non cambiò la sua decisione.
Franca Viola
18. Franca Viola
Infine il 26 dicembre 1965, all'età di
17 anni, Franca Viola fu rapita
(assieme al fratellino Mariano di 8
anni, subito rilasciato) da Melodia,
che agì con l'aiuto di dodici amici,
con i quali devastò l'abitazione
della giovane ed aggredì la madre
che tentava di difendere la figlia.
La ragazza fu violentata e
quindi segregata per otto giorni in
un casolare al di fuori del paese e
poi in casa della sorella di Melodia
ad Alcamo stessa; il giorno di
Capodanno, il padre della ragazza
fu contattato dai parenti di Melodia
per la cosiddetta "paciata", ovvero
per un incontro volto a mettere le
famiglie davanti al fatto compiuto e
far accettare ai genitori di Franca le
nozze dei due giovani
19.
Il padre e la madre di Franca, d'accordo con
la polizia finsero di accettare le nozze riparatrici e
addirittura il fatto che Franca dovesse rimanere
presso l'abitazione di Filippo, ma il giorno
successivo, 2 gennaio 1966 la polizia intervenne
all'alba facendo irruzione nell'abitazione, liberando
Franca ed arrestando Melodia ed i suoi complici.
Franca Viola
20.
Siccome l’infedeltà coniugale è una delle cause di separazione tra i
coniugi più frequenti, spesso ci si domanda se l’infedeltà tra
coniugi sia considerata un vero e proprio reato.
L’infedeltà coniugale non rappresenta più un reato, con le due
sentenze della Corte Costituzionale (n.126/1968 e n.147/1969) che
hanno dichiarato illegittimi gli articoli 559 e 560 del Codice Penale, ma
rappresenta un fatto di elevata rilevanza sul piano giuridico.
La giurisprudenza attuale sul piano giuridico continua però a dare
molta rilevanza al dovere di fedeltà coniugale inteso come lealtà e
impegno reciproco dei due coniugi di non tradire la fiducia dell’altro.
L’infedeltà coniugale e quindi la violazione del dovere di fedeltà non è
più reato e non ha più conseguenze penali, ma può avere
importanti conseguenze sul piano civilistico, può ad esempio
essere causa di addebito della separazione a carico del coniuge
infedele qualora l’infedeltà sia la causa da cui si è originato il
deterioramento del matrimonio e si è generata l’intollerabilità della
convivenza.
Oggi (adulterio)
21.
Nel diritto ecclesiastico l'adulterio è qualunque commercio carnale
fuori matrimonio o in offesa ai vincoli matrimoniali. È considerato
delitto grave come peccato di lussuria e come offesa al precetto
divino. Nell'adulterio in stretto senso deve trattarsi di matrimonio
valido; non è necessario l'avverarsi della copula; deve conoscersi
dagli adulteri lo stato di coniugio; la pena era di sette anni di
penitenza dapprima, poi fu lasciata all'arbitrio del giudice. È
ammessa la separazione per causa di adulterio, ma non è ammesso
nuovo matrimonio finché i coniugi vivano; l'annullamento del
matrimonio è ammesso soltanto nel caso del matrimonio rato e non
consumato, o consumato con un infedele, in base al Privilegio
paolino. L'adulterio dà soltanto diritto al divorzio a toro et
Cohabitatione; non scioglie il vincolo.
Oggi (adulterio)
22.
Legislazione nazionale. - I precedenti si trovano negli
articoli 482-486 del codice sardo e 291-293 del codice
toscano. Il codice Zanardelli stabilì la punizione
tanto per l'adulterio della moglie quanto per quello
del marito, definendo quest'ultimo con tale
designazione generica, anziché con la
locuzione concubinato adoperata nei progetti
antecedenti, osservando che con essa si stabiliva
soltanto la condizione di punibilità per l'adulterio del
marito. Il progetto Rocco invece ha ristabilito la
denominazione specifica di concubinato (art. 560).
Oggi (adulterio)
23.
Concubinato. - I soggetti attivi del delitto sono un uomo ammogliato e
una donna, maritata oppur no. Il soggetto passivo è la moglie del
marito adultero. L'oggetto del delitto è l'ordine giuridico-matrimoniale
per ciò che riguarda l'onore sessuale rispetto alla moglie, e familiare
per ciò che si riferisce alle funzioni direttive educative e patrimoniali
dei genitori nell'interesse della prole. L'elemento psichico consiste
nella volontà del marito e della sua correa di mantenere la relazione,
con la scienza in ambedue del vincolo matrimoniale che lega l'uomo.
L'elemento materiale è costituito dalla relazione carnale che, in modo
costante, è tenuta dal marito con una donna che trovasi nella casa
coniugale o che è notorio essere a lui vincolata dalla relazione stessa.
Oggi
(adulterio e divorzio)
24.
La relazione suddetta deve svolgersi in condizione di concubinato. Il
concubinato è il commercio carnale abituale con una donna non legalmente
unita da matrimonio all'uomo che attua con lei tal commercio. Il
concubinato è dato pertanto da una stabilità e abitualità di rapporti carnali
in genere. Non è carattere del concubinato la convivenza, ma l'abitualità di
congressi carnali, il ripetersi di convegni a tale scopo e l'accessibilità
costante della concubina all'uomo. La concubina deve essere tenuta nella
casa coniugale del marito o notoriamente altrove. Queste condizioni sono
già stabilite nel cod. civ. (art. 150) per l'adulterio del marito come causa di
separazione personale. Il codice penale usa la parola "tiene" una concubina a
differenza del codice civile che dice "mantiene"; "mantenere" è verbo che
indica che la persona è mantenuta con mezzi di sussistenza patrimoniali,
laddove "tenere" stabilisce soltanto l'abitudine dei rapporti con la
concubina. Pertanto, non occorre che il marito abbia collocato la concubina
in casa propria o altrove, e neppure che debba provvedere al mantenimento
di lei con spese anche parziali.
Oggi
(adulterio e divorzio)
25.
Quando la concubina non sia tenuta nella casa coniugale,
ma altrove, è necessario che la relazione di concubinato
sia notoria. Altrove indica qualunque altro luogo, anche la
casa del marito della concubina. La notorietà è uno stato
di fatto, apprezzabile dal giudice di merito, da cui risulta
che la tresca è conosciuta da un gran numero di persone.
Non è cosa identica allo scandalo, il quale può, se mai,
essere una conseguenza della notorietà.
Il tentativo non è configurabile, giacché non è possibile un
principio di esecuzione incriminabile, non essendo
punibili i fatti isolati di adulterio del marito.
Oggi
(adulterio e divorzio)
26.
In questa figura di adulterio balza ancor più evidente la
dimostrazione che la relazione può essere concretata da
qualsiasi fatto di carnalità che stabilisca un rapporto.
Infatti, cadono in confronto del marito non solo i motivi
tradizionali, ma le ragioni sostanziali per cui si poteva
restar dubitosi nel comprendere tra i fatti adulterini gli
atti che non contengono il pericolo della commixtio
sanguinis e della incertezza della prole.
La perseguibilità di questo delitto nelle due forme di
adulterio della moglie e di concubinato è ammessa
soltanto per querela del soggetto passivo. Ciò era nel
codice del 1889 ed è confermato nel progetto del 1927.
Oggi
(adulterio e divorzio)
27.
Questo dispone che la querela non è subordinata a termini speciali per potere essere
esercitata, giacché vale la norma generale fissata all'art. 125, per cui l'esercizio del
diritto di querela deve, in tutti i casi, effettuarsi entro tre mesi dal giorno della
commissione del fatto o della notizia di esso: cadono quindi tutte le questioni
particolari circa la decadenza del diritto di querela per quanto si riferisce al tempo in
cui essa venga proposta, e circa la notizia del fatto, le quali nozioni vanno definite in
base ai principî generali del codice, e quindi non possono esser qui trattate. Basterà
ricordare che la notizia indica una conoscenza certa del fatto, non un dubbio sulla
sua possibilità: e che per il progetto la questione del reato continuato non è più
possibile, data la nozione di relazione come aggravante del reato: il che assicura
l'interpretazione che ogni atto completa il delitto. Il progetto (art. 561), come il codice
Zanardelli, dichiara che non vi è reato se il fatto sia commesso dalla moglie indotta o
eccitata alla prostituzione; aggiunge l'ipotesi relativa al caso che il marito abbia
comunque sfruttato i guadagni derivanti dalla prostituzione. Questa materialità di
fatti si riferisce alla nozione del lenocinio e dello sfruttamento.
Oggi
(adulterio e divorzio)
28.
Lo stesso articolo del progetto stabilisce quanto era già considerato nel codice del
1889; e cioè lo stato di separazione o di abbandono come condizione che fa
diminuire la pena per il coniuge colpevole legalmente separato o ingiustamente
abbandonato.
Si deve trattare di uno stato di separazione legale, cioè tanto dichiarata
giudizialmente quanto consensuale, riconosciuta legale con l'omologazione del
tribunale. La legge si riferisce a fatti d'adulterio commessi durante la separazione, e
perciò l'attenuante non si applica se la querela sia data pendente il giudizio relativo
o prima dell'omologazione.
La separazione può essere avvenuta per qualunque causa, anche per l'adulterio di
uno dei coniugi. Se lo stato di separazione cessa per una delle circostanze previste
dal codice civile, cessano anche le condizioni su cui ha fondamento la minorante.
Oggi
(adulterio e divorzio)
29.
La remissione in relazione ai delitti di adulterio ha l'eccezionale
efficacia di estinguere anche la condanna irrevocabile, della quale
cessa l'esecuzione e cessano gli effetti penali. Il fondamento di questa
norma va trovato nell'assoluta prevalenza accordata all'interesse
privato. La remissione si riferisce alla condotta anteriore, quindi non
vale per i fatti nuovi o per la permanenza che costituisce un prosieguo,
ma sempre un rinnovarsi o ripetersi degli stessi fatti.
Oggi
(adulterio e divorzio)
30.
Fu discusso se la riconciliazione stragiudiziale possa equivalere alla
remissione: per la disposizione dell'art. 160 cod. di proc. penale (del
1913), la discussione oggi non ha più ragione di essere.
Gli effetti della remissione si estendono ai compartecipi. È una
remissione con speciale efficacia sull'essenza giuridica del delitto,
anziché sulla procedibilità dell'azione.
L'altra causa estintiva, equiparata nella efficacia alla remissione nella
figura specifica dell'art. 358 cod. pen. (563 del progetto) e cioè valida a
estinguere anche la condanna, è la morte del coniuge offeso; il
fondamento di questa esimente si riscontra nella considerazione
dell'inutilità di punire, essendo cessato il rapporto giuridico
matrimoniale. Il beneficio si estende ai compartecipi.
Se il coniuge offeso muore prima di dar querela, nessun altro in sua
vece può darla.
Oggi
(adulterio e divorzio)