1. DI GIORGIO BRAMBILLA, PIETRO SALARDI,
ANGELO PARAVELLA,RICCARDO CAVOSI E
FEDERICO UGGERI
2. FAMIGLIA NELL’ ANTICA ROMA
Patria potestà Divorzio e adulterio
-Lex julia de adulteriis coercedis
-Ius liberorum
3. DIRITTI E DOVERI DELLA FAMIGLIA
MODERNA
Potestà genitoriale 1975
Articolo codice civile 1942
Legge sul divorzio 1970
Articolo 559 codice penale
Abolizione 5 settembre 1981 :
- Delitto d’onore
- Matrimonio riparatore
4. Il Pater famiglia aveva libero arbitrio su ogni decisione riguardante la famiglia. Egli
aveva tutti i poteri (la potestà) sia sui beni che sulle persone che facevano parte della
famiglia. Il Pater Familias era il nucleo di ogni attività familiare educativo-economica
Ecco che il Pater Familias interveniva; Egli compiva i sacrifici e dirigeva le cerimonie
religiose, in onore delle divinità del focolare…
Nel caso in cui la moglie uscisse dalle regole, e quindi avesse tradito il pater familias,
ecco che quest`ultimo poteva ucciderla! Senza dover subire un processo! Addirittura se
alla moglie gli veniva in mente di rubare una botte di vino, veniva ammazzata
ugualmente (sempre dal pater familias) senza troppe pretese.
Il diritto romano prevedeva che,, in caso di adulterio, il matrimonio veniva annullato
tramite divorzio.
Nel caso in cui, fosse stato l`uomo ad essere un adultero, sarebbe stato condannato non
perché adultero della moglie, ma perché aveva insidiato la donna di un altro uomo.
Però, dobbiamo sapere che il pater familias poteva avere tranquillamente relazione
extraconiugali con schiave e libere. Non sono rare le testimonianze che attestano la
contemporanea presenza di una moglie legittima e di una concubina, non soltanto nella
vita dei comuni cives, ma anche nell`ambito delle famiglie imperiali. Un caso degno di
attenzione è rappresentato dalla concubina di Nerone, Atte. In questo caso si parla di
concubinato (da cui concubine), ovvero una unione tra uomo e donna priva del vincolo
legale del matrimonio, però fondata su una convivenza duratura.
5. Nel periodo imperiale le donne romane godono di una
conquistata dignità ed autonomia difesa anche da teorici del
"femminismo" antico come Gaio Musonio Rufo nell'età dei Flavi.
Molte imperatrici romane di questa età sono meritevoli di quel
titolo di Augusta che fu dato a Livia solo dopo la morte del
marito. Grande figura di donna è quella di Plotina, moglie di
Traiano che aveva accompagnato il marito nella guerra contro i
Parti e che, dopo la morte dell'imperatore, aveva così ben disposto
le sue segrete volontà politiche testamentarie che Adriano ottenne
la successione senza contrasti. Così la moglie di quest'ultimo
Sabina, nonostante le malignità su di lei nella Historia Augusta, la
si ritrova celebrata in numerose iscrizioni da coloro che erano stati
beneficiati da lei e da statue che l'avevano divinizzata ancora in
vita. Si dice che Adriano fosse in contrasto con lei ma bastò che
Svetonio, segretario ab epistulis, le avesse mancato di rispetto che
l'augusto consorte intervenisse facendogli perdere in un batter
d'occhio il suo incarico.
6. Lo ius trium liberorum (diritto dei tre figli) fu
una parte normativa della legislazione sociale
introdotta da Augusto che puntava a rendere
più numerose le famiglie, garantendo privilegi
ai genitori di tre o più figli liberi. Tale diritto fu
compreso nella Lex Papia Poppaea del 9 d.C. I
privilegi destinati ai maschi comprendenvano
le agevolazioni nella carriera militare, mentre
per le donne si garantiva la liberazione delle
stesse dall'obbligo dell'assistenza
dell'educatore (tutela).
7. La Lex Iulia de adulteriis coercendis è una legge romana emanata per volere dell'imperatore Augusto in un periodo
supposto dal 18 a.C. al 16 a.C. per disciplinare l'adulterio (crimen adulterii) e le varie fattispecie che vi rientravano:
incestum, stuprum, lenocinium. La legge fu molto apprezzata dai letterati dell'epoca. Probabilmente la legge era un
rimaneggiamento di legislazioni precedenti sempre in materia, tra cui una proposta o prodotta da Silla.
La Lex Iulia de Adulteriis Coercendis prevedeva che, nel caso di adulterio o stupro, fosse istituito un processo contro la
moglie infedele e il complice. La legge punisce la donna adultera "con la confisca della metà della dote, la confisca della
terza parte dei beni e con la relegazione in un'isola", l'uomo adultero con la confisca della "metà del patrimonio con
uguale relegazione in un'isola, purché siano relegati in isole diverse". Il padre della donna aveva il diritto di uccidere
immediatamente la figlia e l'adultero, se colti in flagrante nella propria casa o in quella del genero tradito (non poteva
risparmiare l'uno o l'altro, ma doveva necessariamente ucciderli ambedue per non incorrere nell'accusa di omicidio),
mentre il marito aveva il diritto di uccidere l’amante, solo in determinate circostanze, come ad esempio la sua
appartenenza ad un basso rango sociale (se l'amante era di alto lignaggio allora si aveva la possibilità di catturarlo e
tenerlo segregato per un massimo di 20 ore consecutive, in modo da radunare i testimonii necessari), e di ripudiare la
consorte, ma non di ucciderla. Se il marito non denunciava l'adulterio della moglie, non cacciava la consorte e lasciava
andar via l'amante colto in flagrante, oppure sfruttava la cosa economicamente, veniva accusato di lenocinio e punito
come adultero.
Sebbene la legge fosse entrata in vigore intorno al 18 a.C. ci sono testimonianze che mostrano come essa non venisse
molto rispettata. Quintiliano parla di transizione di denaro dall'adultero colto in flagrante al marito tradito per
risparmiargli la vita, il che secondo la legge renderebbe l'ultimo un lenone. Pare anche che, in piena funzione della legge,
si potesse ancora sfregiare e mutilare l'adultero colto in flagrante senza ucciderlo.
La legge ben presto venne dimenticata. Tiberio fu costretto ad attuare disposizioni per i dilaganti adulterii, anche se poco
funzionanti, di conseguenza la mancanza di moralità continuò a dilagare fino a che Domiziano la reintrodusse
vigorosamente, ottenendo le lodi di Marziale.
In epoca imperiale, inoltre, si riscontra pian piano una reintroduzione o accettazione del delitto d'onore da parte del
marito, che va contro la Lex Iulia. Il iustus dolor (giusto dolore) che il marito provava era la giustificazione dei delitti.
Marco Aurelio e poi Commodo regolamentarono la cosa, giustificando il delitto d'onore, ma punendo ugualmente
l'omicida per non aver saputo controllarsi non con ciò che dettava la legge sugli omicidii (Lex Cornelia de sicariis et
veneficiis), ma con i lavori forzati (per le basse classi sociali) o la relegatio in insulam (per le alte classi sociali). Anche
l'uccisione dell'adultero da parte del marito, accettata dalla Lex Iulia solo in determinate condizioni, qualora avvenisse in
condizione d'illegalità diveniva giustificabile e punita con pena più lieve rispetto alla solita della Lex Cornelia.
8. Il codice civile del 1942, a differenza di quelli coevi europei, contiene sia la disciplina del diritto civile che quella del diritto
commerciale, in precedenza dettate in codici distinti.
I lavori per la redazione del codice civile presero il via all'indomani della prima guerra mondiale. Il testo, entrato in vigore nel 1942, è
il risultato del lavoro di una serie di commissioni e sottocommissioni formate da professori universitari, magistrati, avvocati e
funzionari, coordinate da Filippo Vassalli.[2] Nel codice confluirono gli articolati in origine destinati al codice di commercio, opera di
commissioni e sottocommissioni coordinate da Alberto Asquini.
Le vicende relative all'elaborazione del codice civile sono state ricostruite solo in anni recenti. Grazie agli archivi di F. Vassalli e di
Asquini, è stato possibile rintracciare i nomi dei giuristi chiamati a esprimere pareri spesso recepiti nella formulazione finale (ad
esempio, Piero Calamandrei). Questi giuristi non presero parte alla redazione delle singole norme. È stato messo in luce anche il
contributo determinante di alcuni giuristi come Giuseppe Osti, promotore della responsabilità oggettiva del debitore che sarà accolta
nel testo del codice (ma che nelle decisioni giurisprudenziali finirà col convivere con la tesi della responsabilità per colpa), e di alti
funzionari che nel dopoguerra avranno un ruolo in politica come Giuseppe Medici, e dello stesso Dino Grandi, guardasigilli dal 12
luglio 1939 al 5 febbraio 1943. È stata fatta anche chiarezza su aspetti rimasti oscuri, come i ripetuti tentativi di fascistizzare il codice,
in gran parte andati a vuoto, e sulle tormentate vicende che hanno portato all'unificazione del diritto privato.
I codici in vigore in Italia, ad eccezione del codice di procedura penale, nella parte approvata nel 1988 e più volte riformata, risalgono
al periodo del regime fascista.
I codici civile e di procedura civile risentono dell'influsso fascista meno del codice penale del 1930, anche per via delle numerose
riforme. È indubbio, tuttavia, che l'opera di codificazione era una forma di monumento giuridico da lasciare ai posteri, come era stato
anche il code Napoléon. Sono state espunte le parti fasciste come i riferimenti alle norme corporative e le disposizioni razziste.
Numerosi interventi legislativi sommati ad accordi internazionali e normativa comunitaria hanno modificato e integrato il codice, o
si sono aggiunti, tanto che ormai una cospicua disciplina civilistica è da rintracciarsi nelle leggi speciali. Ulteriori riforme hanno poi
sostituito parti del codice civile (si pensi alla riforma del diritto di famiglia del 1975), Infine, è nata una nuova esigenza di
codificazione di parti prima sparse in diverse normative, ma che completano le disposizioni codicistiche civili: si pensi al Codice del
consumo, approvato con d.lgs. n. 206 del 2005.
Il codice civile italiano rappresenta una prima struttura, un primo sistema di legiferazione mutuato dal codice napoleonico, dal
codice tedesco e dal codice austriaco. Alcuni dicono che si tratti di un codice ancora rurale, non adatto quindi ad esprimere
compiutamente le esigenze di un mondo che sta affermandosi come quello moderno, sotto le spinte del diritto di matrice
anglosassone (common law). Tuttavia, significative riforme, come quella del diritto societario del 2003 hanno contribuito a
modernizzare il codice, introducendo quelle necessità di speditezza dei traffici giuridici che un codice prevalentemente statico e di
principi generali come quello italiano non possedeva.
Le Disposizioni sulla legge in generale occupano le prime pagine del codice civile.
9. 1º dicembre 1970 il divorzio veniva introdotto nell'ordinamento
giuridico italiano; nonostante l'opposizione della Democrazia
Cristiana, del Movimento Sociale Italiano, del Südtiroler
Volkspartei e dei monarchici del Partito Democratico Italiano di
Unità Monarchica, e con i voti favorevoli del Partito Socialista
Italiano, del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, del
Partito Comunista Italiano, del Partito Socialista Democratico
Italiano, del Partito Repubblicano Italiano, del Partito Liberale
Italiano, viene approvata la legge 1º dicembre 1970, n. 898 -
"Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio" (la cosiddetta
legge Fortuna-Baslini), risultato della combinazione del progetto
di legge di Loris Fortuna con un altro pdl presentato dal deputato
liberale Antonio Baslini; nello stesso anno il Parlamento
approvava le norme che istituivano il referendum con la legge
n.352 del 1970, proprio in corrispondenza con le ampie polemiche
che circondavano l'introduzione del divorzio in Italia.
10. In Italia la potestà genitoriale ha sostituito la patria
potestà nel 1975, parificando diritti e doveri della
madre verso i figli, a quelli del padre con la legge
151/1975 (riforma del diritto di famiglia).
Conseguenza di "segno opposto", in genere a favore del
padre, di tale parità di diritti è le tendenza all'affido
condiviso dei figli nelle cause di separazione e
divorzio, rispetto a un precedente orientamento dei
giudici ad affidare figli e abitazione principale alla
figura materna.
La sospensione o il decadimento dalla patria potestà
non può comportare una riduzione dei doveri, vale a
dire vantaggio economico o di altro tipo per il genitore.
In particolare, non cancella gli obblighi di
mantenimento.
11. 5 settembre del 1981: tanto, ci volle, per cancellare infamità del “delitto d’onore”
ma anche del “matrimonio riparatore” in Italia.
Fu il Parlamento Italiano ad abrogare la “rilevanza penale della causa d’onore”,
una disposizione tremenda, retriva e umiliante specialmente per le Donne che ne
erano le prime vittime. Si trattava di un “residuo legislativo” del Codice Rocco
(anni Venti), in vigore dal Fascismo, e in forte contraddizione con il Nuovo Diritto
di famiglia e il divorzio, vigenti da tempo nella legislazione italiana.
E’ questo l’articolo che fu finalmente soppresso il 5 agosto 1981 grazie al n. 442, che
abroga la rilevanza penale della “causa d’onore”. Leggendo le date, si evidenzia
come, addirittura anche dopo il referendum sul divorzio (1974) e la riforma del
diritto di famiglia, il codice penale concedesse, quindi, la riduzione della pena per
chi uccidesse la moglie (o il marito, nel caso che fosse la donna ad essere stata
tradita: ma in questo caso – i numeri parlano chiaro – la reazione estrema e
sanguinosa era assai più rara), la figlia o la sorella, in uno stato d’ira che si riteneva
sempre inevitabile e presunto, al fine di difendere, appunto, “l’onor suo o della
famiglia” leso a causa di una “illegittima relazione carnale”. Nell’ordinamento
penale italiano, la prima innovazione si deve alla Corte Costituzionale che aveva
sancito l’incostituzionalità dell’art. 559 del codice: esso prevedeva la punizione del
solo adulterio e concubinato da parte della moglie ma non considerando anche
quella del marito.