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l ricambio generazionale in Italia sembra utopia. La diagnosi del male
severo che colpisce l'Italia e che rischia ancora di degenerare è definita
da demografi e sociologi gerontocrazia o sindrome del ritardo. Il nostro
Paese vanta infatti il poco invidiabile primato della longevità al potere e
della cristallizzazione della classe dirigente. Una recente analisi del "The
Economist", riferita all’Europa, evidenzia con attenzione le principali sfide
che l'invecchiamento della popolazione pone allo sviluppo economico e alla
società nel suo complesso1
. In particolare, in Italia dati recenti2
attestano
come la metà degli imprenditori, liberi professionisti e dirigenti abbia un'età
media di 46 anni, contro i 43 della Danimarca ed i 40 del Regno Unito.
Nel settore pubblico i divari divengono allarmanti. Un quarto dei
docenti universitari ha più di 60 anni, la percentuale più alta d'Europa; solo
il 5% ha meno di 35 anni. L'età media dei magistrati ordinari è di 58 anni. Si
diventa colonnelli e generali delle Forze Armate tra i 51 e i 60 anni, con
lievi differenze secondo il corpo di appartenenza.
Nel settore pubblico la carriera inizia a 45 anni ed il vertice si raggiunge
a 60. Su tali ritardi incide negativamente l'attuale andamento demografico
caratterizzato da una diminuzione della popolazione nella fascia 20-39 an-
ni e da un aumento della fascia 40-59. Quest'ultimo fenomeno è l'indice
evidente di un Paese che invecchia, in cui il consolidamento e l'aumento,
anche numerico, della classe dirigente affermata contribuiscono gradual-
mente a ridurre le possibilità di emersione della popolazione giovane.
Dai viaggi della speranza ai cervelli in fuga
Come è stato recentemente sottolineato anche da un'analisi su "Il
Sole24Ore"3
, il problema non sta nell'età, ma nel fatto che all'invecchia-
mento si abbina l'immobilismo. Dal 1998 al 2004 il peso dei settantenni nel-
la classe dirigente è cresciuto dal 18,8% al 23,4%, quello degli ultrasessan-
tenni dal 27,4% al 30,4%. Ovviamente a perder punti sono le altre fasce più
giovani.
Al di là delle grandi promesse e delle iniziative promosse dai governanti,
i giovani trentenni sono sempre più esclusi dai grandi giochi e spesso por-
tati a lasciare il Paese. Si tratta in generale di un disagio particolarmente sen-
tito e esteso nelle nuove generazioni, come dimostra anche un sondaggio
diffuso recentemente dall'Eurispes, da cui emerge che oltre la metà dei
giovani italiani intervistati, soprattutto laureati, non occupati e studenti, si
trasferirebbe volentieri all'estero. Se in passato esistevano i viaggi della spe-
ranza per trovare fortuna in America, oggi esistono fenomeni come quello
dei cervelli in fuga, dove ad emigrare sono soprattutto i giovani professionisti
che non trovano in Italia uno sbocco alle loro competenze e professionalità.
La fuga dei cervelli è in fondo conseguenza del gelo nel ricambio genera-
zionale e anche di un immobilismo legislativo ed economico che dura
ormai da troppi anni. In America gli under quaranta già sono all'apice della
Dal 1998 al 2004
il peso dei
settantenni nella
classe dirigente
è cresciuto
dal 18,8% al 23,4%
e quello degli
ultrasessantenni
dal 27,4 % al 30,4%.
Investire nel ricambio
della classe dirigente
•Alessandro Picardi
37
Politica e Istituzioni
InnovAzioni -Marzo-Aprile 2006
Politica e Istituzioni 22-45bis.qxd 20/03/2006 16.14 Pagina 37
loro professionalità, in Italia invece lottano tra lottizzazione, nepotismi e
baronie. Le università continuano a sfornare nuove competenze e i master
creano figure professionali sempre più definite, ma talvolta l'eccessiva spe-
cializzazione diventa un limite oltre il quale pare non si possa più crescere e
non si può sconfinare.
A completare il quadro dell'immobilismo è una sorta di retaggio culturale,
anch'esso tipicamente provinciale, secondo il quale gli under quaranta
"devono aspettare" perché considerati come antagonisti e non un valore
aggiunto per il cambiamento della società e la crescita dell'economia. Una
generazione di giovani professionisti si trova così parcheggiata tra banchi
formativi e nicchie di lavoro e pochi, anzi pochissimi, riescono ad emergere
e acquisire ruoli nel mondo del lavoro e della politica. L'effetto combinato
di questi fenomeni è tra le principali cause della crisi del nostro sistema-
paese, incapace di governare la sfida della globalizzazione, della competiti-
vità e dell'innovazione.
Le politiche da attuare per facilitare il ricambio generazionale partono da
riforme riguardanti il sistema scolastico e universitario. L'obiettivo non è
soltanto accrescere la qualità delle modelli di istruzione e apprendimento
rafforzando le dinamiche formative che intrecciano tradizione e innovazione,
ma anche rafforzare i canali di accesso nel mondo delle professioni e della
ricerca scientifica.
Interpretare i mutamenti della società
Innanzitutto, anche al fine di consentire il miglior ingresso dei giovani
alla preparazione accademica, occorre una solida preparazione di base,
con una particolare attenzione e opportuni investimenti su materie come
l'informatica, lo studio e l'applicazione delle lingue straniere e l'educazione
civica in grado di fornire gli strumenti per una libera riflessione indivi-
duale. Nell'università risiede invece il centro dell'alta formazione del
capitale umano e l'incubatore per far emergere le potenzialità di ogni
nuova classe dirigente. In questo campo gli interventi legislativi e regola-
mentari devono essere radicali.
Programmi non adeguati alle dinamiche del terzo millennio, gerar-
chizzazione delle carriere e crisi della ricerca rappresentano le gravi
carenze nel nostro sistema.
In Italia la conclusione del ciclo di studi universitari avviene in un'età
tra le più avanzate rispetto al resto dei paesi europei. Le esigenze derivanti
dalle emergenti dinamiche economiche, sociali e politiche impongono
quindi la necessità di uno svecchiamento dei programmi universitari e
l'introduzione continua di nuove discipline, approcci e metodologie di
analisi in grado di interpretare in modo regolare i rapidi mutamenti della
società contemporanea, senza rimanere indietro. È fondamentale inoltre
favorire sinergie stabili tra università, mondo produttivo ed istituzionale
per accompagnare alle esperienze formative una pratica "sul campo",
agevolare la partecipazione di giovani ai momenti istituzionali (sedute del
Parlamento, delegazioni ufficiali in visita all'estero, ecc.) e a progetti cross
country su tematiche strategiche che investono lo sviluppo economico e
industriale dei diversi paesi coinvolti. Tali attività tuttavia non devono
essere dettate, come oggi spesso accade, da mere esigenze di crediti
Investire nel ricambio
della classe dirigente
Programmi non
adeguati alle
dinamiche del
terzo millennio,
gerarchizzazione
delle carriere e
crisi della ricerca
rappresentano le
gravi carenze del
nostro sistema.
38 InnovAzioni -Marzo-Aprile 2006
Politica e Istituzioni 22-45bis.qxd 20/03/2006 16.14 Pagina 38
formativi ma, al contrario, devono essere impostate in modo da consentire
una reale partecipazione dell'allievo alle attività professionali e favorirne
poi l'ingresso nel mercato del lavoro.
La qualità della formazione universitaria è inoltre direttamente legata
alle attività di ricerca. Su questo versante ci sono dati particolarmente
preoccupanti. L'Italia investe appena l'1,1% del Pil in R&S e gli studi
internazionali la collocano agli ultimi posti tra i paesi industrializzati per
numero di brevetti depositati. Poca ricerca significa poche scoperte, meno
industrializzazione delle idee, relativa crisi nella politica industriale e per-
dita della competitività rispetto a paesi competitors che dell'innovazione
hanno fatto invece il centro delle proprie politiche di sviluppo. Gli scarsi
investimenti in ricerca finiscono, inoltre, sia per spingere i giovani ricerca-
tori italiani verso l'estero (ovvero verso paesi dove lo studio è più valoriz-
zato in termini sia economici che sociali), sia per rallentare (fino quasi a
fermare completamente) il ricambio generazionale in un settore, come ap-
punto quello della ricerca scientifica, dove il contributo innovativo porta-
to da giovani menti è particolarmente rilevante. In tal senso è necessario
che gli stanziamenti in R&S siano in linea con gli obiettivi dell'Agenda di
Lisbona, che si incentivino in maniera strutturale le attività di ricerca da
parte delle piccole e medie imprese - che costituiscono l'ossatura del nostro
sistema produttivo -, che si renda strutturale il contributo delle grandi im-
prese private alle università e infine che si proceda ad un deciso riordino
della pletora di soggetti pubblici che operano nel settore.
Università e ricerca: il modello inglese
È auspicabile inoltre l'adozione, sul modello inglese, del criterio rigoroso
della valutazione dei risultati in base a canoni di produttività scientifica
internazionalmente riconosciuti come elemento selettivo per l'allocazione
delle risorse tra le università e gli enti di ricerca.
Un sistema di ricerca universitaria è efficiente se riesce a creare sinergie
tra i migliori ricercatori (spesso anche molto giovani) presenti sul mercato.
In tale linea appare quindi utile ancorare la retribuzione dei professori
alla loro produttività scientifica piuttosto che alla loro anzianità o ai con-
corsi interni, come oggi accade; sarebbe opportuno, inoltre, incentivare la
presenza nelle università italiane di professori stranieri (mediamente più
giovani dei nostri) in un'ottica di scambio e di confronto dei saperi (nelle
università estere la media di professori stranieri è del 25%4
). Infine una ra-
dicale rivisitazione deve riguardare la procedura di accesso alle carriere
universitarie che, per durata, farraginosità e trasparenza, sono inefficienti.
Un adeguato sistema di ricerca migliora la qualità delle conoscenze e
crea mobilità e dinamicità nel settore. Fuori dalla burocrazia e da ogni
spirito di baronato si stimolerebbe una competizione tra le parti in grado
di liberare le migliori energie delle giovani generazioni, stimolate anche
da prospettive di carriera, remunerazione e visibilità.
Il Mezzogiorno è tornato ad essere al centro del dibattito italiano come
un'opportunità, un volano di sviluppo per l'intero Paese. Il Sud è un'a-
rea giovane, a forte capitale umano, ma sono tuttavia molti i ragazzi che
conseguono la laurea nelle università del centro-nord o comunque lì vi si
recano in cerca di lavoro. È bene che la giovane classe dirigente del Mez-
L'Italia investe
appena l'1,1%
del Pil in R&S
e gli studi
internazionali
la collocano
agli ultimi posti
tra i paesi
industrializzati
per numero di
brevetti depositati.
39
Investire nel ricambio
della classe dirigente
InnovAzioni -Marzo-Aprile 2006
Politica e Istituzioni 22-45bis.qxd 20/03/2006 16.14 Pagina 39
zogiorno inizi a rendersi protagonista innanzitutto nel proprio territorio,
invertendo questa spiacevole tendenza. Al di là di ogni importante inter-
vento di politica economica volto a sostenere a livello economico e sociale
il Sud dell'Italia, riuscire a creare le condizioni affinché i giovani del Mezzo-
giorno non abbandonino in modo così esteso il proprio territorio appare un
obiettivo prioritario. Ciò creerebbe la cornice utile affinché il Sud possa
autonomamente sostenere e "sfruttare" la freschezza delle idee delle nuove
generazioni di imprenditori, magari anche con misure automatiche di in-
centivazione mirate a stimolare iniziative destinate a qualificare le poten-
zialità proprie del Mezzogiorno (cultura, turismo, agroalimentare, inno-
vazione tecnologica e così via).
Il quadro presentato, tra dati demografici e dinamiche socioeconomiche,
mostra l'Italia come un Paese, nel suo complesso, poco orientato allo
sviluppo, alla crescita economica e all'innovazione. Al declino dei tradi-
zionali luoghi dedicati alla formazione e alla selezione della classe dirigente si
accompagna un rafforzamento di quelle logiche incoerenti, per l'ingresso
nel mercato del lavoro così come nelle elite dirigenziali, fondate sull'ap-
partenenza sociale e il network di conoscenze e non sul merito. I tempi sono
maturi per intraprendere una terapia d'urto che possa arginare questo
immobilismo che rischia di assumere i toni di una deriva, soprattutto se si
osserva quanto accade tra i nostri più diretti competitori, in Europa come
nel resto del mondo. Il ricambio della classe dirigente deve essere un in-
vestimento prioritario e strategico per i prossimi governi. Occorre intra-
prendere azioni mirate ed incisive per alimentare il protagonismo del
nostro giovane capitale umano e per uscire dall'ambito di provincialismo
e di conservazione che caratterizza l'attuale apparato decisionale.
1
"How to manage an ageing workforce", The Economist, 18-24 febbraio 2006.
2
Elaborazione interna su fonti varie (The Economist, Il Sole 24 Ore, Corriere della Sera,
Europa).
3
Fonti, Sole14 febbraio 2006.
4
Gagliarducci S., Ichino A., Peri G., Perotti R., Lo splendido isolamento dell'università italiana, 2005.
Investire nel ricambio
della classe dirigente
L'Italia, Paese nel
suo complesso
poco orientato
allo sviluppo,
alla crescita
economica e
all'innovazione.
40 InnovAzioni -Marzo-Aprile 2006
Politica e Istituzioni 22-45bis.qxd 20/03/2006 16.14 Pagina 40

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  • 1. I l ricambio generazionale in Italia sembra utopia. La diagnosi del male severo che colpisce l'Italia e che rischia ancora di degenerare è definita da demografi e sociologi gerontocrazia o sindrome del ritardo. Il nostro Paese vanta infatti il poco invidiabile primato della longevità al potere e della cristallizzazione della classe dirigente. Una recente analisi del "The Economist", riferita all’Europa, evidenzia con attenzione le principali sfide che l'invecchiamento della popolazione pone allo sviluppo economico e alla società nel suo complesso1 . In particolare, in Italia dati recenti2 attestano come la metà degli imprenditori, liberi professionisti e dirigenti abbia un'età media di 46 anni, contro i 43 della Danimarca ed i 40 del Regno Unito. Nel settore pubblico i divari divengono allarmanti. Un quarto dei docenti universitari ha più di 60 anni, la percentuale più alta d'Europa; solo il 5% ha meno di 35 anni. L'età media dei magistrati ordinari è di 58 anni. Si diventa colonnelli e generali delle Forze Armate tra i 51 e i 60 anni, con lievi differenze secondo il corpo di appartenenza. Nel settore pubblico la carriera inizia a 45 anni ed il vertice si raggiunge a 60. Su tali ritardi incide negativamente l'attuale andamento demografico caratterizzato da una diminuzione della popolazione nella fascia 20-39 an- ni e da un aumento della fascia 40-59. Quest'ultimo fenomeno è l'indice evidente di un Paese che invecchia, in cui il consolidamento e l'aumento, anche numerico, della classe dirigente affermata contribuiscono gradual- mente a ridurre le possibilità di emersione della popolazione giovane. Dai viaggi della speranza ai cervelli in fuga Come è stato recentemente sottolineato anche da un'analisi su "Il Sole24Ore"3 , il problema non sta nell'età, ma nel fatto che all'invecchia- mento si abbina l'immobilismo. Dal 1998 al 2004 il peso dei settantenni nel- la classe dirigente è cresciuto dal 18,8% al 23,4%, quello degli ultrasessan- tenni dal 27,4% al 30,4%. Ovviamente a perder punti sono le altre fasce più giovani. Al di là delle grandi promesse e delle iniziative promosse dai governanti, i giovani trentenni sono sempre più esclusi dai grandi giochi e spesso por- tati a lasciare il Paese. Si tratta in generale di un disagio particolarmente sen- tito e esteso nelle nuove generazioni, come dimostra anche un sondaggio diffuso recentemente dall'Eurispes, da cui emerge che oltre la metà dei giovani italiani intervistati, soprattutto laureati, non occupati e studenti, si trasferirebbe volentieri all'estero. Se in passato esistevano i viaggi della spe- ranza per trovare fortuna in America, oggi esistono fenomeni come quello dei cervelli in fuga, dove ad emigrare sono soprattutto i giovani professionisti che non trovano in Italia uno sbocco alle loro competenze e professionalità. La fuga dei cervelli è in fondo conseguenza del gelo nel ricambio genera- zionale e anche di un immobilismo legislativo ed economico che dura ormai da troppi anni. In America gli under quaranta già sono all'apice della Dal 1998 al 2004 il peso dei settantenni nella classe dirigente è cresciuto dal 18,8% al 23,4% e quello degli ultrasessantenni dal 27,4 % al 30,4%. Investire nel ricambio della classe dirigente •Alessandro Picardi 37 Politica e Istituzioni InnovAzioni -Marzo-Aprile 2006 Politica e Istituzioni 22-45bis.qxd 20/03/2006 16.14 Pagina 37
  • 2. loro professionalità, in Italia invece lottano tra lottizzazione, nepotismi e baronie. Le università continuano a sfornare nuove competenze e i master creano figure professionali sempre più definite, ma talvolta l'eccessiva spe- cializzazione diventa un limite oltre il quale pare non si possa più crescere e non si può sconfinare. A completare il quadro dell'immobilismo è una sorta di retaggio culturale, anch'esso tipicamente provinciale, secondo il quale gli under quaranta "devono aspettare" perché considerati come antagonisti e non un valore aggiunto per il cambiamento della società e la crescita dell'economia. Una generazione di giovani professionisti si trova così parcheggiata tra banchi formativi e nicchie di lavoro e pochi, anzi pochissimi, riescono ad emergere e acquisire ruoli nel mondo del lavoro e della politica. L'effetto combinato di questi fenomeni è tra le principali cause della crisi del nostro sistema- paese, incapace di governare la sfida della globalizzazione, della competiti- vità e dell'innovazione. Le politiche da attuare per facilitare il ricambio generazionale partono da riforme riguardanti il sistema scolastico e universitario. L'obiettivo non è soltanto accrescere la qualità delle modelli di istruzione e apprendimento rafforzando le dinamiche formative che intrecciano tradizione e innovazione, ma anche rafforzare i canali di accesso nel mondo delle professioni e della ricerca scientifica. Interpretare i mutamenti della società Innanzitutto, anche al fine di consentire il miglior ingresso dei giovani alla preparazione accademica, occorre una solida preparazione di base, con una particolare attenzione e opportuni investimenti su materie come l'informatica, lo studio e l'applicazione delle lingue straniere e l'educazione civica in grado di fornire gli strumenti per una libera riflessione indivi- duale. Nell'università risiede invece il centro dell'alta formazione del capitale umano e l'incubatore per far emergere le potenzialità di ogni nuova classe dirigente. In questo campo gli interventi legislativi e regola- mentari devono essere radicali. Programmi non adeguati alle dinamiche del terzo millennio, gerar- chizzazione delle carriere e crisi della ricerca rappresentano le gravi carenze nel nostro sistema. In Italia la conclusione del ciclo di studi universitari avviene in un'età tra le più avanzate rispetto al resto dei paesi europei. Le esigenze derivanti dalle emergenti dinamiche economiche, sociali e politiche impongono quindi la necessità di uno svecchiamento dei programmi universitari e l'introduzione continua di nuove discipline, approcci e metodologie di analisi in grado di interpretare in modo regolare i rapidi mutamenti della società contemporanea, senza rimanere indietro. È fondamentale inoltre favorire sinergie stabili tra università, mondo produttivo ed istituzionale per accompagnare alle esperienze formative una pratica "sul campo", agevolare la partecipazione di giovani ai momenti istituzionali (sedute del Parlamento, delegazioni ufficiali in visita all'estero, ecc.) e a progetti cross country su tematiche strategiche che investono lo sviluppo economico e industriale dei diversi paesi coinvolti. Tali attività tuttavia non devono essere dettate, come oggi spesso accade, da mere esigenze di crediti Investire nel ricambio della classe dirigente Programmi non adeguati alle dinamiche del terzo millennio, gerarchizzazione delle carriere e crisi della ricerca rappresentano le gravi carenze del nostro sistema. 38 InnovAzioni -Marzo-Aprile 2006 Politica e Istituzioni 22-45bis.qxd 20/03/2006 16.14 Pagina 38
  • 3. formativi ma, al contrario, devono essere impostate in modo da consentire una reale partecipazione dell'allievo alle attività professionali e favorirne poi l'ingresso nel mercato del lavoro. La qualità della formazione universitaria è inoltre direttamente legata alle attività di ricerca. Su questo versante ci sono dati particolarmente preoccupanti. L'Italia investe appena l'1,1% del Pil in R&S e gli studi internazionali la collocano agli ultimi posti tra i paesi industrializzati per numero di brevetti depositati. Poca ricerca significa poche scoperte, meno industrializzazione delle idee, relativa crisi nella politica industriale e per- dita della competitività rispetto a paesi competitors che dell'innovazione hanno fatto invece il centro delle proprie politiche di sviluppo. Gli scarsi investimenti in ricerca finiscono, inoltre, sia per spingere i giovani ricerca- tori italiani verso l'estero (ovvero verso paesi dove lo studio è più valoriz- zato in termini sia economici che sociali), sia per rallentare (fino quasi a fermare completamente) il ricambio generazionale in un settore, come ap- punto quello della ricerca scientifica, dove il contributo innovativo porta- to da giovani menti è particolarmente rilevante. In tal senso è necessario che gli stanziamenti in R&S siano in linea con gli obiettivi dell'Agenda di Lisbona, che si incentivino in maniera strutturale le attività di ricerca da parte delle piccole e medie imprese - che costituiscono l'ossatura del nostro sistema produttivo -, che si renda strutturale il contributo delle grandi im- prese private alle università e infine che si proceda ad un deciso riordino della pletora di soggetti pubblici che operano nel settore. Università e ricerca: il modello inglese È auspicabile inoltre l'adozione, sul modello inglese, del criterio rigoroso della valutazione dei risultati in base a canoni di produttività scientifica internazionalmente riconosciuti come elemento selettivo per l'allocazione delle risorse tra le università e gli enti di ricerca. Un sistema di ricerca universitaria è efficiente se riesce a creare sinergie tra i migliori ricercatori (spesso anche molto giovani) presenti sul mercato. In tale linea appare quindi utile ancorare la retribuzione dei professori alla loro produttività scientifica piuttosto che alla loro anzianità o ai con- corsi interni, come oggi accade; sarebbe opportuno, inoltre, incentivare la presenza nelle università italiane di professori stranieri (mediamente più giovani dei nostri) in un'ottica di scambio e di confronto dei saperi (nelle università estere la media di professori stranieri è del 25%4 ). Infine una ra- dicale rivisitazione deve riguardare la procedura di accesso alle carriere universitarie che, per durata, farraginosità e trasparenza, sono inefficienti. Un adeguato sistema di ricerca migliora la qualità delle conoscenze e crea mobilità e dinamicità nel settore. Fuori dalla burocrazia e da ogni spirito di baronato si stimolerebbe una competizione tra le parti in grado di liberare le migliori energie delle giovani generazioni, stimolate anche da prospettive di carriera, remunerazione e visibilità. Il Mezzogiorno è tornato ad essere al centro del dibattito italiano come un'opportunità, un volano di sviluppo per l'intero Paese. Il Sud è un'a- rea giovane, a forte capitale umano, ma sono tuttavia molti i ragazzi che conseguono la laurea nelle università del centro-nord o comunque lì vi si recano in cerca di lavoro. È bene che la giovane classe dirigente del Mez- L'Italia investe appena l'1,1% del Pil in R&S e gli studi internazionali la collocano agli ultimi posti tra i paesi industrializzati per numero di brevetti depositati. 39 Investire nel ricambio della classe dirigente InnovAzioni -Marzo-Aprile 2006 Politica e Istituzioni 22-45bis.qxd 20/03/2006 16.14 Pagina 39
  • 4. zogiorno inizi a rendersi protagonista innanzitutto nel proprio territorio, invertendo questa spiacevole tendenza. Al di là di ogni importante inter- vento di politica economica volto a sostenere a livello economico e sociale il Sud dell'Italia, riuscire a creare le condizioni affinché i giovani del Mezzo- giorno non abbandonino in modo così esteso il proprio territorio appare un obiettivo prioritario. Ciò creerebbe la cornice utile affinché il Sud possa autonomamente sostenere e "sfruttare" la freschezza delle idee delle nuove generazioni di imprenditori, magari anche con misure automatiche di in- centivazione mirate a stimolare iniziative destinate a qualificare le poten- zialità proprie del Mezzogiorno (cultura, turismo, agroalimentare, inno- vazione tecnologica e così via). Il quadro presentato, tra dati demografici e dinamiche socioeconomiche, mostra l'Italia come un Paese, nel suo complesso, poco orientato allo sviluppo, alla crescita economica e all'innovazione. Al declino dei tradi- zionali luoghi dedicati alla formazione e alla selezione della classe dirigente si accompagna un rafforzamento di quelle logiche incoerenti, per l'ingresso nel mercato del lavoro così come nelle elite dirigenziali, fondate sull'ap- partenenza sociale e il network di conoscenze e non sul merito. I tempi sono maturi per intraprendere una terapia d'urto che possa arginare questo immobilismo che rischia di assumere i toni di una deriva, soprattutto se si osserva quanto accade tra i nostri più diretti competitori, in Europa come nel resto del mondo. Il ricambio della classe dirigente deve essere un in- vestimento prioritario e strategico per i prossimi governi. Occorre intra- prendere azioni mirate ed incisive per alimentare il protagonismo del nostro giovane capitale umano e per uscire dall'ambito di provincialismo e di conservazione che caratterizza l'attuale apparato decisionale. 1 "How to manage an ageing workforce", The Economist, 18-24 febbraio 2006. 2 Elaborazione interna su fonti varie (The Economist, Il Sole 24 Ore, Corriere della Sera, Europa). 3 Fonti, Sole14 febbraio 2006. 4 Gagliarducci S., Ichino A., Peri G., Perotti R., Lo splendido isolamento dell'università italiana, 2005. Investire nel ricambio della classe dirigente L'Italia, Paese nel suo complesso poco orientato allo sviluppo, alla crescita economica e all'innovazione. 40 InnovAzioni -Marzo-Aprile 2006 Politica e Istituzioni 22-45bis.qxd 20/03/2006 16.14 Pagina 40