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BOLLETTINO DEL 04 Settembre 2012                                                       A CURA DI PER. AGR. CLAUDIO OLIBONI




          SICCITA’ E STRESS IDRICO NEI VIGNETI:
               QUALE PREVENZIONE E QUALI SOLUZIONI?
       Si è ripetuta, dopo il 2003, un’altra stagione calda, secca e siccitosa, mettendo a dura prova la produzione
       dei giovani vigneti.
       Lo stress idrico ha manifestato le sue conseguenze soprattutto negli impianti giovani, fino ai 10 – 15 anni
       di età, mentre le viti più vecchie hanno sopportato la carenza di acqua senza grosse difficoltà.
       Come noto, le piante vecchie sopportano la carenza idrica a causa dell’apparato radicale ben sviluppato,
       dovuto sia all’età sia al fatto che si trovano nel contesto di impianti con ridotta densità ad ettaro.
       Le piante di viti che si trovano nei vecchi impianti, con una densità quindi di 2300 -2500 – 2700 ceppi ad
       ettaro, hanno avuto modo di sviluppare un apparato radicale profondo ed espanso, anche a causa della
       ridotta competizione tra di loro.
       Le piante di vite che si trovano invece negli impianti realizzati di recente, hanno una densità più elevata,
       superiore ai 3300 ceppi per ettaro. Ciò comporta una maggiore competizione tra pianta e pianta ed uno
       sviluppo radicale più contenuto, con conseguente maggiore sensibilità delle piante nei confronti della
       carenza idrica.
       Ci sono naturalmente differenze tra terreno e terreno, nel senso che laddove è maggiore la presenza di
       sabbia e ghiaia, lo stress idrico si manifesta in modo più evidente rispetto ai terreni più pesanti e dove è
       maggiore la presenza di argilla.
       Un eccezionale stress idrico si è quindi manifestato anche quest’anno, a distanza di 9 anni dal “famoso”
       2003, e le previsioni degli esperti di meteorologia indicano che la frequenza delle annate secche e
       siccitose aumenterà sempre più. Magari l’estate prossima sarà piovosa e fresca, ma la frequenza delle
       estati siccitose aumenterà, e questo non è un fenomeno a cui si sta assistendo solo in Italia o in
       Valpolicella, ma in tutto il mondo.
       Nelle aree agricole i periodi siccitosi si alternano sempre più ad alluvioni e nubifragi.
       Cosa fare quindi per fronteggiare le prossime stagioni in caso di prolungata siccità?
Siccità e stress idrico: le soluzioni.
La prima soluzione è stata anticipata nell’introduzione, ed è rappresentata dal prolungamento dell’età
delle viti, accompagnata dalla seconda soluzione, che consiste nel favorire il massimo sviluppo
dell’apparato radicale.
È necessario aumentare l’età delle viti e conservare le vecchie piante il più possibile: in tutte le condizioni
a cui stiamo assistendo, sono le più resistenti allo stress idrico; quindi, prima di procedere all’estirpazione
totale di un vigneto, è importante valutare se questo intervento è davvero necessario.
Esiste però un aspetto da non sottovalutare. Gli impianti dove vengono sostituite molte viti diventano
necessariamente disomogenei per l’età, pertanto possiamo trovare un livello di maturazione disforme, con
piante che portano uva matura e ben nutrita ed altre invece stressata dalla siccità. Il lavoro di selezione e
cernita al momento della vendemmia diventa in questo caso ancor più attento e scrupoloso. Inoltre, prima
di procedere al rimpiazzo delle fallanze, si dovrà pulire con cura il terreno che ospiterà le nuove piantine e
lasciarlo riposare per almeno un paio d’anni.
Nei nuovi impianti, le viti dovranno avere un apparato radicale molto profondo e sviluppato, resistenti
alla siccità, e andranno scelti portinnesti con sviluppo radicale fittonante, quali il 41B e 140 Ruggeri
(resistenti anche alla clorosi ferrica). Gli stessi nuovi impianti dovranno naturalmente essere realizzati con
la densità minima prevista dal disciplinare di produzione (3300 ceppi ad ettaro) al fine di poterli iscrivere
all’Albo, ma non è consigliato un ulteriore aumento del numero di piante per unità di superficie, salvo
negli impianti a Guyot (dove, per ragioni produttive, si potranno raggiungere i 4000 ceppi ad ettaro). La
spinta ad eseguire impianti molto fitti, come erano stati suggeriti fino a poco tempo fa, nell’ottica della
gestione idrica va ridimensionata. Salvaguardare l’età delle viti e il buon sviluppo dell’apparato radicale
rappresentano obiettivi primari.
La terza soluzione viene dall’acqua e dalla possibilità di irrigazione.
Negli ultimi anni, soprattutto nei vigneti ubicati in zone con terreni sciolti, si sono visti realizzare diversi
pozzi per l’approvvigionamento di acqua ed impianti di irrigazione, collegati ad essi oppure a depositi di
vasche rifornite da sorgenti, fontane, tettoie (in questo ultimo caso, trattasi di acqua piovana).
 Ebbene, stiamo ora parlando di acqua, una risorsa naturale che sta diventando sempre più rara.
Se proviamo a ricordare quanto era l’approvvigionamento di acqua da parte di sorgenti e fontane, 50, 20,
5 anni fa rispetto ad oggi, possiamo constatare che la sua disponibilità è andata gradualmente calando
ovunque.
E nei prossimi anni? Proviamo ad immaginare gli stessi punti di rifornimento d’acqua tra 5, 20, 50 anni, e
chiediamoci: “Avremo la stessa disponibilità di oggi?”.
Credo che osservando quanto sta accadendo nel mondo e in Valpolicella, non ci possiamo certamente
aspettare che con il passare degli anni avremo la stessa disponibilità!
Ciò che probabilmente si sta prospettando è che tra qualche anno l’acqua ad uso irriguo potrebbe non
essere più disponibile, o lo sarà in quantità assai ridotta.
Acqua ed impianti di irrigazione per contrastare lo stress idrico sì, naturalmente, soprattutto nei terreni più
sciolti, ma consapevoli che la sua disponibilità verrà sempre a meno.
L’acqua è un elemento fondamentale per l’attività fisiologica e biochimica della vite, ma bisogna tener
presente che non deve rappresentare una tecnica colturale di forzatura (che si manifesta nel caso più
classico con l’irrigazione a scorrimento) ; non è inoltre utile ai fini qualitativi quando viene adottata in
situazioni di stress estreme ed infine deve essere impiegata in modo da ottimizzare la sua efficienza, in
quanto si tratta di una risorsa limitata.
Numerose ricerche in diverse aree viticole mondiali dimostrano che in un vigneto irrigato secondo
strategie di un deficit idrico controllato, viene migliorato il rapporto quantità-qualità della produzione,
oltre che l’equilibrio vegetativo e produttivo rispetto ad un vigneto genericamente stressato.
Ma quali sono, se ci sono, le conseguenze sulla qualità delle uve di uno stress idrico ? E come posso
 abbinarlo ad una corretta gestione dell’irrigazione?
 Vediamo le varie fasi.
 Dal germogliamento all’allegagione difficilmente si verificano situazioni di stress idrico, ma quando ciò
 avviene assistiamo alla presenza di gemme cieche, crescita dei germogli ridotta e disforme, scarso
 sviluppo fogliare.
 Dall’allegagione all’invaiatura, se lo stress è elevato assistiamo inizialmente all’aborto dei fiori e cascola
 degli acini, seguito da una riduzione del volume delle bacche , dovuto ad un passaggio di acqua dagli
 acini ai germogli con conseguenze spesso irreversibili. Altre conseguenze sono una riduzione degli
 antociani ed un aumento degli flavonoli (che determinano un gusto amaro nel vino). In caso di stress
 idrico moderato viene invece influenzato in modo positivo la componente polifenolica dell’uva.
 In questo periodo fenologico avviene l’induzione e la differenziazione delle gemme ibernanti, e tanto uno
 stress molto forte quanto un’eccessiva vigoria per eccesso di acqua, determineranno una riduzione della
 fertilità dei futuri germogli.
 Dall’invaiatura alla maturazione, gli acini diventano sempre più indipendenti dalla pianta, quindi più
 tolleranti nei confronti degli stress idrici. In questa fase, la riduzione dei volumi degli acini in
 conseguenza dello stress idrico è quindi meno importante rispetto alle prime fasi di crescita delle bacche.
 Un forte stress idrico in questo periodo comporta una riduzione della capacità foto sintetica delle foglie,
 un arresto dello sviluppo degli apici vegetativi, la caduta precoce delle foglie basali, la sovraesposizione
 dei grappoli alla luce e alle temperature, una maggiore sensibilità alle scottature. Se il forte stress idrico è
 poi accompagnato da una produzione elevata, verrà compromessa anche la lignificazione e l’accumulo
 delle sostanze di riserva nelle radici. Una elevata disponibilità di acqua in questa fase provoca d’altro
 canto una maggiore vigoria vegetativa, un ritardo della maturazione con riduzione della componente
 zuccherina e degli antociani, oltre che una maggiore acidità, un prolungamento dell’attività vegetativa,
 un’ insufficiente lignificazione e riduzione del germogliamento l’anno successivo.
 Dopo la vendemmia fino alla caduta delle foglie, un forte stress idrico riduce la crescita dell’apparato
 radicale, che dovrebbe invece essere, in questa fase, favorita.
 In condizioni metereologiche rappresentate da un naturale equilibrio nella distribuzione delle piogge, non
 ci sono quindi grandi problemi, ma in caso di una stagione molto siccitosa e calda, la disponibilità di
 acqua da irrigazione può quindi dare un importante contributo alla salvaguardia dell’efficienza vegeto-
 produttiva delle nostre viti ed alla qualità della produzione.
 Riepiloghiamo con una tabella le situazioni ideali nelle varie fasi fenologiche:
      FASE FENOLOGICA DELLA VITE                         LIVELLO DI STRESS IDRICO IDEALE
Germogliamento - allegagione                           Assenza di stress idrico
Allegazione – invaiatura                               Stress idrico lieve
Invaiatura – raccolta                                  Stress idrico da moderato a forte
Dalla raccolta alla caduta delle foglie                Assenza di stress idrico

Come si può vedere, la disponibilità di acqua nelle prime ed ultime fasi fenologiche della vite, è
importante anche per lo sviluppo dell’apparato radicale.
Come valutare lo stress idrico di una vite in previsione di un intervento irriguo?
Esistono diversi metodi, ed il migliore è la misurazione dell’evapotraspirazione, cioè la stima dell’acqua
che evapora dal suolo e che viene traspirata dalla pianta; la conoscenza di questo valore ci permette di
determinare il reale consumo di acqua ed il fabbisogno da parte della vite, ma l’applicazione pratica in
vigneto, soprattutto in un contesto ambientale disomogeneo come abbiamo in Valpolicella, è solo al
momento teorica.
Un sistema empirico ma efficace ed immediato, impiegabile soprattutto nella fase che va dall’allegagione
alla invaiatura, consiste nella valutazione visiva nel vigneto. Se verifichiamo un arresto di sviluppo
vegetativo degli apici vegetativi, il disseccamento dei viticci, l’ingiallimento delle foglie basali e di quelle
presenti sulle femminelle, seguito dal loro disseccamento, vuol dire che siamo in presenza di un forte
stress idrico.
Come intervenire ?
Il migliore sistema di irrigazione, dopo anni di esperienze nelle diverse aree viticole mondiali, risulta
essere la sub-irrigazione (sottoterra). Questo sistema garantisce un maggior risparmio di acqua rispetto
all’irrigazione a goccia fuori suolo (nei terreni franco-sabbiosi si arriva fino ad un 25%), un
miglioramento dell’efficienza dell’uso dell’acqua a favore dell’uva rispetto al legno, un minore sviluppo
delle erbe infestanti. Di contro, ci sono i maggiori costi di impianto, la possibilità di occlusione dei
gocciolatori, la difficoltà di intervenire in caso di perdite d’acqua dalle ali gocciolanti.
Il secondo miglior sistema, ed il più pratico, oltre che maggiormente adottato nel nostro territorio, è
quello a goccia, con la rete di distribuzione disposta direttamente sul suolo o sospesa a varie altezze.
Quanta acqua distribuire ?
La quantità di acqua da distribuire dipende molto dall’andamento stagionale e dalle caratteristiche del
terreno dove è ubicato il vigneto; l’importante è evitare nel modo più assoluto che le Corvine arrivino ad
arrestare l’accumulo di antociani (la classica buccia color mattone) ed evitare la perdita di foglie tra il
grappolo e l’apice vegetativo. Raggiunti questi sintomi, i danni sono molto gravi e spesso irreversibili per
la qualità dell’uva. E’ importante che, una volta iniziata l’irrigazione, vadano apportati quantitativi di
almeno 15 -25 litri di acqua per pianta, per permettere alla stessa di penetrare in profondità ed allargare lo
spettro di distribuzione, contribuendo anche a regolare la temperatura del suolo. L’intervento andrà
ripetuto alla successiva manifestazione di forte stress da parte della pianta.

E gli altri sistemi di irrigazione ?
L’irrigazione a scorrimento è sconsigliata per gli effetti negativi sullo sviluppo delle viti esposto sopra,
per l’impiego di grandi quantità di acqua, per il dilavamento delle sostanze nutritive e per l’erosione
superficiale del suolo.
L’irrigazione a pioggia incontra il suo principale ostacolo nell’elevato consumo di acqua, oltre che di
energia e lavoro per la movimentazione delle tubature.
L’irrigazione di emergenza con l’impiego di una botte trainata e l’acqua distribuita con l’uso di una
gomma è notevolmente dispendioso dal punto di vista energetico per i ripetuti passaggi ed il rifornimento
dell’acqua, ed ha inoltre lo svantaggio che la quantità somministrata rimane solitamente in superficie, non
raggiunge cioè gli strati più profondi del suolo come avviene invece dopo alcune ore di distribuzione
dell’acqua goccia.
Rischiamo quindi che l’acqua sia insufficiente per l’idratazione della pianta e che la stessa raggiunga una
elevata temperatura, trasmessa dal suolo circostante, con possibili danni all’apparato radicale superficiale.
La quarta soluzione è rappresentata dalle lavorazioni superficiali sulla fila.
Si tratta di intervenire con mezzi meccanici in grado di rompere lo strato superficiale del suolo, ripetendo
l’operazione più volte nel corso della stagione estiva.
Le lavorazioni superficiali sulla fila hanno i seguenti effetti:
    1. interrompono la perdita di acqua per risalita capillare nel terreno, con immediati ed evidenti
         vantaggi in termine di risparmio idrico.
    2. puliscono il filare dalla presenza di essenze erbacee che potenzialmente potrebbero entrare in
         competizione con il vigneto.
    3. svolgono una azione di “disturbo” nei confronti delle radici delle viti, che pertanto vengono
         stimolate a svilupparsi negli strati più profondi del terreno.
    4. Favoriscono la capacità di invaso ed assorbimento dell’acqua piovana rispetto al terreno lasciato
         interamente inerbito o diserbato.
Di contro, la lavorazione superficiale ha i seguenti aspetti da considerare:
   1. lungo il filare lavorato non abbiamo un importante accumulo di sostanza organica che possiamo
       invece verificare lungo i filari inerbiti e sfalciati.
   2. nei periodi estivi, il movimento della terra può comportare una rottura dei capillizi radicali, che
       sono i più importanti per l’assorbimento dell’acqua, e causare pertanto un ulteriore effetto di stress
       per le piante.
   3. le lavorazioni hanno un costo energetico derivante dalla movimentazione delle macchine, oltre che
       un costo di acquisto ed ammortamento delle attrezzature. Questo va valutato anche in relazione
       alle dimensioni aziendali, e nel caso degli appezzamenti di piccole dimensioni è opportuno
       coinvolgere i produttori in un acquisto collettivo dei mezzi meccanici necessari.

Le lavorazioni di lavorazione superficiale del suolo consistono nella scalzatura seguita da rincalzatura,
oppure dalla fresatura o dalla zappatura.
La scalzatura seguita da rincalzatura va fatta in primavera (aprile – maggio) e ripetuta in estate (giugno –
agosto); la fresatura o la zappatura vengono effettuate in primavera e ripetute durante l’estate in un
numero di interventi legato all’andamento stagionale.
Queste tecniche sono state adottate da secoli in tutte le aree agricole più esposte alla siccità, compresa la
Valpolicella, perché funzionano bene ; nell’obiettivo di preservare la disponibilità idrica del suolo, danno
buoni risultati.
Il mercato offre numerose proposte in merito a macchine e attrezzature, da valutare caso per caso in base
anche alle osservazioni ed esperienze personali. Allo stato attuale si trovano comunque molte macchine di
facile utilizzo e buona efficacia, in conseguenza dell’evoluzione tecnologica dovuta al recente grande
interesse verso questa tipologia di gestione del suolo.
Le interfile, cioè lo spazio compreso tra un filare e l’altro, vanno invece nel nostro ambiente lasciate
inerbite. Solo in alcuni terreni molto sciolti e ciottolosi si può prevedere una fresatura o estirpazione
superficiale alterna delle interfile.
L’inerbimento tra le interfile influisce non poco sui consumi idrici del suolo. Rappresenta infatti la
quinta soluzione per contrastare il deficit idrico.
L’erba tra le interfile va tenuta alta quanto più possibile, effettuando il primo sfalcio a fioritura completa,
quindi verso metà – fine giugno. Un secondo eventuale sfalcio andrà fatto prima della vendemmia.
Dal punto di vista estetico, un vigneto con una crescita avanzata di erba potrà non piacere molto rispetto
ai ripetuti sfalci stile “campo da golf”, ma dal punto di vista funzionale, i vantaggi sono notevoli.
A noi interessa ciò che offre dei risultati, ciò che funziona in merito ai nostri obiettivi, e non il solo
aspetto estetico.
Un sotto-vigneto sfalciato di frequente comporta l’apporto nel terreno di sostanza organica con basso
contenuto di lignina e quindi velocemente mineralizzabile.L’apporto di sostanza organica in questi casi
non è elevato, mentre notevole è l’esposizione all’erosione ed alla dispersione idrica.
Un sotto-vigneto sfalciato a fioritura completa comporta invece un’alta presenza di lignina, in grado di
rallentare la decomposizione della sostanza organica, favorendone l’accumulo.
L’accumulo di sostanza organica e di steli semilegnosi delle essenze erbose agisce come una
pacciamatura organica, favorendo l’assorbimento dell’acqua piovana ed ostacolando successivamente la
sua evaporazione.
La superficie fogliare del cotico erboso è anch’essa naturalmente soggetta ad evapotraspirazione, ma
l’osservazione diretta in vigneto dimostra quanto questa sia inferiore rispetto ai tagli frequenti e rasi sul
suolo.
L’inerbimento prolungato fino alla fase della fioritura delle essenze erbacee, svolge inoltre un altro
importante effetto collaterale: esso costituisce un ambiente favorevole alla proliferazione degli insetti
utili, rappresentati soprattutto da Sirfidi, Coccinelle, Imenotteri parassitoidi e Crisope.
Questi insetti contribuiscono in modo importante al controllo dei fitofagi, soprattutto delle larve di
lepidotteri (Tignolette, tignole, eulia, ecc.), acari e tripidi.
Le lavorazioni superficiali del suolo e la buona gestione delle interfile rappresentano quindi tecniche che,
nell’obiettivo di contrastrare l’elevato stress idrico, funzionano, danno risultati apprezzabili, si avvicinano
al nostro obiettivo.

Cosa invece in questo contesto non funziona? Il diserbo.
Con il diserbo lungo i filari teniamo il “rubinetto” sempre aperto dal suolo verso l’atmosfera, in quanto
non lavorando superficialmente il suolo viene favorita la continua risalita capillare dell’acqua, con
conseguente esposizione delle viti al deficit idrico.
Un ulteriore svantaggio è rappresentato dal fatto che le radici delle stesse viti si sviluppano negli strati
più superficiali del suolo, e pertanto sono più esposte alle maggiori temperature estive ed alle immediate
carenze di acqua.

Ai fini del risparmio idrico quindi il diserbo è una tecnica che non raggiunge l’obiettivo.
Che dire infine dell’inerbimento totale del vigneto?
Rispetto ad una lavorazione superficiale, il consumo idrico è maggiore, come maggiore la competizione
nei confronti della vite. Comunque, soprattutto nei vigneti vigorosi, molto produttivi e con buona
dotazione idrica, l’inerbimento totale non procura problemi, ma offre vantaggi.
Il principale “deterrente” è dato dallo sfalcio dell’erba tra una pianta e l’altra, che richiede un impegnativo
uso di decespugliatori o l’uso di macchine al momento non ancora ottimizzate per lo scopo.
Un ostacolo nell’adozione di questa tecnica l’abbiamo quando dobbiamo rimpiazzare le fallanze nei
vigneti già produttivi. Le giovani piante dovranno avere a disposizione un terreno pulito dalle essenze
foraggere al fine di favorire la loro ottimale crescita, e la gestione di un vigneto interamente inerbito, con
la contemporanea presenza di piante giovani e vecchie, non è semplice.
Dal punto di vista dei costi energetici, 2 passaggi annui per lo sfalcio degli interfilari, come indicato in
precedenza, rispetto ai 3 – 5 effettuati nella gestione del sotto-vigneto “stile campo da golf”,
rappresentano una riduzione di almeno il 50%.
Vi sono altre osservazioni da fare in merito alla gestione dell’inerbimento del sotto-vigneto ?
Certamente : esiste un mondo ancora tutto da sviluppare.
Si tratta dell’uso dei sovesci, cioè della semina di essenze foraggere che una volta cresciute andranno poi
interrate.
Il sovescio rappresenta una tecnica agronomica molto valida in alcune situazioni quali :
 1. presenza di strati di terreno riportati in superficie in seguito a sbancamenti, quindi senza sostanza
    organica e poveri di fauna e flora batterica. Questi terreni rimangono pressoché sterili per diversi
    anni, e quando vengono piantati i nuovi vigneti, assistiamo ad uno sviluppo stentato, con presenza di
    giallumi, internodi ravvicinati e scarsa produzione. La pratica del sovescio con leguminose riporta il
    livello di fertilità e vitalità del terreno in pochi anni, favorendo la successiva crescita dei nuovi
    impianti senza grandi problemi.

2. presenza di terreni troppo fertili, con eccessiva presenza di sostanza organica non decomposta, oppure
   con dotazione di azoto elevata. In questi casi la vigorìa dei vigneti pregiudica la qualità della
   produzione ed ostacola la difesa fitosanitaria. La pratica del sovescio con graminacee aiuta in questo
   caso a riportare la fertilità a livelli ottimali per la coltivazione della vite.

3. presenza di terreni molto compatti, asfittici, dove le viti soffrono di morìa per assenza di aria e
   ristagno d’acqua. In questo caso la rippatura meccanica può dare grandi risultati, ma anche pratica

4.
5. della semina e sovescio con crucifere che sviluppano radici profonde e grosse, in grado, alla loro
   morte di arieggiare in modo efficace il terreno.

Ci sono poi tutte le varie situazioni intermedie, ma il tema del sovescio fa parte di un’altro appuntamento.
Per ora, vi faccio gli auguri per un buon inizio di vendemmia !

Negrar , 4 Settembre 2012

                                                                   Il tecnico viticolo
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Gestione siccità e stress idrico vigneti

  • 1. NE WS IN C AM P A GN A BOLLETTINO DEL 04 Settembre 2012 A CURA DI PER. AGR. CLAUDIO OLIBONI SICCITA’ E STRESS IDRICO NEI VIGNETI: QUALE PREVENZIONE E QUALI SOLUZIONI? Si è ripetuta, dopo il 2003, un’altra stagione calda, secca e siccitosa, mettendo a dura prova la produzione dei giovani vigneti. Lo stress idrico ha manifestato le sue conseguenze soprattutto negli impianti giovani, fino ai 10 – 15 anni di età, mentre le viti più vecchie hanno sopportato la carenza di acqua senza grosse difficoltà. Come noto, le piante vecchie sopportano la carenza idrica a causa dell’apparato radicale ben sviluppato, dovuto sia all’età sia al fatto che si trovano nel contesto di impianti con ridotta densità ad ettaro. Le piante di viti che si trovano nei vecchi impianti, con una densità quindi di 2300 -2500 – 2700 ceppi ad ettaro, hanno avuto modo di sviluppare un apparato radicale profondo ed espanso, anche a causa della ridotta competizione tra di loro. Le piante di vite che si trovano invece negli impianti realizzati di recente, hanno una densità più elevata, superiore ai 3300 ceppi per ettaro. Ciò comporta una maggiore competizione tra pianta e pianta ed uno sviluppo radicale più contenuto, con conseguente maggiore sensibilità delle piante nei confronti della carenza idrica. Ci sono naturalmente differenze tra terreno e terreno, nel senso che laddove è maggiore la presenza di sabbia e ghiaia, lo stress idrico si manifesta in modo più evidente rispetto ai terreni più pesanti e dove è maggiore la presenza di argilla. Un eccezionale stress idrico si è quindi manifestato anche quest’anno, a distanza di 9 anni dal “famoso” 2003, e le previsioni degli esperti di meteorologia indicano che la frequenza delle annate secche e siccitose aumenterà sempre più. Magari l’estate prossima sarà piovosa e fresca, ma la frequenza delle estati siccitose aumenterà, e questo non è un fenomeno a cui si sta assistendo solo in Italia o in Valpolicella, ma in tutto il mondo. Nelle aree agricole i periodi siccitosi si alternano sempre più ad alluvioni e nubifragi. Cosa fare quindi per fronteggiare le prossime stagioni in caso di prolungata siccità?
  • 2. Siccità e stress idrico: le soluzioni. La prima soluzione è stata anticipata nell’introduzione, ed è rappresentata dal prolungamento dell’età delle viti, accompagnata dalla seconda soluzione, che consiste nel favorire il massimo sviluppo dell’apparato radicale. È necessario aumentare l’età delle viti e conservare le vecchie piante il più possibile: in tutte le condizioni a cui stiamo assistendo, sono le più resistenti allo stress idrico; quindi, prima di procedere all’estirpazione totale di un vigneto, è importante valutare se questo intervento è davvero necessario. Esiste però un aspetto da non sottovalutare. Gli impianti dove vengono sostituite molte viti diventano necessariamente disomogenei per l’età, pertanto possiamo trovare un livello di maturazione disforme, con piante che portano uva matura e ben nutrita ed altre invece stressata dalla siccità. Il lavoro di selezione e cernita al momento della vendemmia diventa in questo caso ancor più attento e scrupoloso. Inoltre, prima di procedere al rimpiazzo delle fallanze, si dovrà pulire con cura il terreno che ospiterà le nuove piantine e lasciarlo riposare per almeno un paio d’anni. Nei nuovi impianti, le viti dovranno avere un apparato radicale molto profondo e sviluppato, resistenti alla siccità, e andranno scelti portinnesti con sviluppo radicale fittonante, quali il 41B e 140 Ruggeri (resistenti anche alla clorosi ferrica). Gli stessi nuovi impianti dovranno naturalmente essere realizzati con la densità minima prevista dal disciplinare di produzione (3300 ceppi ad ettaro) al fine di poterli iscrivere all’Albo, ma non è consigliato un ulteriore aumento del numero di piante per unità di superficie, salvo negli impianti a Guyot (dove, per ragioni produttive, si potranno raggiungere i 4000 ceppi ad ettaro). La spinta ad eseguire impianti molto fitti, come erano stati suggeriti fino a poco tempo fa, nell’ottica della gestione idrica va ridimensionata. Salvaguardare l’età delle viti e il buon sviluppo dell’apparato radicale rappresentano obiettivi primari. La terza soluzione viene dall’acqua e dalla possibilità di irrigazione. Negli ultimi anni, soprattutto nei vigneti ubicati in zone con terreni sciolti, si sono visti realizzare diversi pozzi per l’approvvigionamento di acqua ed impianti di irrigazione, collegati ad essi oppure a depositi di vasche rifornite da sorgenti, fontane, tettoie (in questo ultimo caso, trattasi di acqua piovana). Ebbene, stiamo ora parlando di acqua, una risorsa naturale che sta diventando sempre più rara. Se proviamo a ricordare quanto era l’approvvigionamento di acqua da parte di sorgenti e fontane, 50, 20, 5 anni fa rispetto ad oggi, possiamo constatare che la sua disponibilità è andata gradualmente calando ovunque. E nei prossimi anni? Proviamo ad immaginare gli stessi punti di rifornimento d’acqua tra 5, 20, 50 anni, e chiediamoci: “Avremo la stessa disponibilità di oggi?”. Credo che osservando quanto sta accadendo nel mondo e in Valpolicella, non ci possiamo certamente aspettare che con il passare degli anni avremo la stessa disponibilità! Ciò che probabilmente si sta prospettando è che tra qualche anno l’acqua ad uso irriguo potrebbe non essere più disponibile, o lo sarà in quantità assai ridotta. Acqua ed impianti di irrigazione per contrastare lo stress idrico sì, naturalmente, soprattutto nei terreni più sciolti, ma consapevoli che la sua disponibilità verrà sempre a meno. L’acqua è un elemento fondamentale per l’attività fisiologica e biochimica della vite, ma bisogna tener presente che non deve rappresentare una tecnica colturale di forzatura (che si manifesta nel caso più classico con l’irrigazione a scorrimento) ; non è inoltre utile ai fini qualitativi quando viene adottata in situazioni di stress estreme ed infine deve essere impiegata in modo da ottimizzare la sua efficienza, in quanto si tratta di una risorsa limitata. Numerose ricerche in diverse aree viticole mondiali dimostrano che in un vigneto irrigato secondo strategie di un deficit idrico controllato, viene migliorato il rapporto quantità-qualità della produzione, oltre che l’equilibrio vegetativo e produttivo rispetto ad un vigneto genericamente stressato.
  • 3. Ma quali sono, se ci sono, le conseguenze sulla qualità delle uve di uno stress idrico ? E come posso abbinarlo ad una corretta gestione dell’irrigazione? Vediamo le varie fasi. Dal germogliamento all’allegagione difficilmente si verificano situazioni di stress idrico, ma quando ciò avviene assistiamo alla presenza di gemme cieche, crescita dei germogli ridotta e disforme, scarso sviluppo fogliare. Dall’allegagione all’invaiatura, se lo stress è elevato assistiamo inizialmente all’aborto dei fiori e cascola degli acini, seguito da una riduzione del volume delle bacche , dovuto ad un passaggio di acqua dagli acini ai germogli con conseguenze spesso irreversibili. Altre conseguenze sono una riduzione degli antociani ed un aumento degli flavonoli (che determinano un gusto amaro nel vino). In caso di stress idrico moderato viene invece influenzato in modo positivo la componente polifenolica dell’uva. In questo periodo fenologico avviene l’induzione e la differenziazione delle gemme ibernanti, e tanto uno stress molto forte quanto un’eccessiva vigoria per eccesso di acqua, determineranno una riduzione della fertilità dei futuri germogli. Dall’invaiatura alla maturazione, gli acini diventano sempre più indipendenti dalla pianta, quindi più tolleranti nei confronti degli stress idrici. In questa fase, la riduzione dei volumi degli acini in conseguenza dello stress idrico è quindi meno importante rispetto alle prime fasi di crescita delle bacche. Un forte stress idrico in questo periodo comporta una riduzione della capacità foto sintetica delle foglie, un arresto dello sviluppo degli apici vegetativi, la caduta precoce delle foglie basali, la sovraesposizione dei grappoli alla luce e alle temperature, una maggiore sensibilità alle scottature. Se il forte stress idrico è poi accompagnato da una produzione elevata, verrà compromessa anche la lignificazione e l’accumulo delle sostanze di riserva nelle radici. Una elevata disponibilità di acqua in questa fase provoca d’altro canto una maggiore vigoria vegetativa, un ritardo della maturazione con riduzione della componente zuccherina e degli antociani, oltre che una maggiore acidità, un prolungamento dell’attività vegetativa, un’ insufficiente lignificazione e riduzione del germogliamento l’anno successivo. Dopo la vendemmia fino alla caduta delle foglie, un forte stress idrico riduce la crescita dell’apparato radicale, che dovrebbe invece essere, in questa fase, favorita. In condizioni metereologiche rappresentate da un naturale equilibrio nella distribuzione delle piogge, non ci sono quindi grandi problemi, ma in caso di una stagione molto siccitosa e calda, la disponibilità di acqua da irrigazione può quindi dare un importante contributo alla salvaguardia dell’efficienza vegeto- produttiva delle nostre viti ed alla qualità della produzione. Riepiloghiamo con una tabella le situazioni ideali nelle varie fasi fenologiche: FASE FENOLOGICA DELLA VITE LIVELLO DI STRESS IDRICO IDEALE Germogliamento - allegagione Assenza di stress idrico Allegazione – invaiatura Stress idrico lieve Invaiatura – raccolta Stress idrico da moderato a forte Dalla raccolta alla caduta delle foglie Assenza di stress idrico Come si può vedere, la disponibilità di acqua nelle prime ed ultime fasi fenologiche della vite, è importante anche per lo sviluppo dell’apparato radicale. Come valutare lo stress idrico di una vite in previsione di un intervento irriguo? Esistono diversi metodi, ed il migliore è la misurazione dell’evapotraspirazione, cioè la stima dell’acqua che evapora dal suolo e che viene traspirata dalla pianta; la conoscenza di questo valore ci permette di determinare il reale consumo di acqua ed il fabbisogno da parte della vite, ma l’applicazione pratica in vigneto, soprattutto in un contesto ambientale disomogeneo come abbiamo in Valpolicella, è solo al momento teorica. Un sistema empirico ma efficace ed immediato, impiegabile soprattutto nella fase che va dall’allegagione alla invaiatura, consiste nella valutazione visiva nel vigneto. Se verifichiamo un arresto di sviluppo
  • 4. vegetativo degli apici vegetativi, il disseccamento dei viticci, l’ingiallimento delle foglie basali e di quelle presenti sulle femminelle, seguito dal loro disseccamento, vuol dire che siamo in presenza di un forte stress idrico. Come intervenire ? Il migliore sistema di irrigazione, dopo anni di esperienze nelle diverse aree viticole mondiali, risulta essere la sub-irrigazione (sottoterra). Questo sistema garantisce un maggior risparmio di acqua rispetto all’irrigazione a goccia fuori suolo (nei terreni franco-sabbiosi si arriva fino ad un 25%), un miglioramento dell’efficienza dell’uso dell’acqua a favore dell’uva rispetto al legno, un minore sviluppo delle erbe infestanti. Di contro, ci sono i maggiori costi di impianto, la possibilità di occlusione dei gocciolatori, la difficoltà di intervenire in caso di perdite d’acqua dalle ali gocciolanti. Il secondo miglior sistema, ed il più pratico, oltre che maggiormente adottato nel nostro territorio, è quello a goccia, con la rete di distribuzione disposta direttamente sul suolo o sospesa a varie altezze. Quanta acqua distribuire ? La quantità di acqua da distribuire dipende molto dall’andamento stagionale e dalle caratteristiche del terreno dove è ubicato il vigneto; l’importante è evitare nel modo più assoluto che le Corvine arrivino ad arrestare l’accumulo di antociani (la classica buccia color mattone) ed evitare la perdita di foglie tra il grappolo e l’apice vegetativo. Raggiunti questi sintomi, i danni sono molto gravi e spesso irreversibili per la qualità dell’uva. E’ importante che, una volta iniziata l’irrigazione, vadano apportati quantitativi di almeno 15 -25 litri di acqua per pianta, per permettere alla stessa di penetrare in profondità ed allargare lo spettro di distribuzione, contribuendo anche a regolare la temperatura del suolo. L’intervento andrà ripetuto alla successiva manifestazione di forte stress da parte della pianta. E gli altri sistemi di irrigazione ? L’irrigazione a scorrimento è sconsigliata per gli effetti negativi sullo sviluppo delle viti esposto sopra, per l’impiego di grandi quantità di acqua, per il dilavamento delle sostanze nutritive e per l’erosione superficiale del suolo. L’irrigazione a pioggia incontra il suo principale ostacolo nell’elevato consumo di acqua, oltre che di energia e lavoro per la movimentazione delle tubature. L’irrigazione di emergenza con l’impiego di una botte trainata e l’acqua distribuita con l’uso di una gomma è notevolmente dispendioso dal punto di vista energetico per i ripetuti passaggi ed il rifornimento dell’acqua, ed ha inoltre lo svantaggio che la quantità somministrata rimane solitamente in superficie, non raggiunge cioè gli strati più profondi del suolo come avviene invece dopo alcune ore di distribuzione dell’acqua goccia. Rischiamo quindi che l’acqua sia insufficiente per l’idratazione della pianta e che la stessa raggiunga una elevata temperatura, trasmessa dal suolo circostante, con possibili danni all’apparato radicale superficiale. La quarta soluzione è rappresentata dalle lavorazioni superficiali sulla fila. Si tratta di intervenire con mezzi meccanici in grado di rompere lo strato superficiale del suolo, ripetendo l’operazione più volte nel corso della stagione estiva. Le lavorazioni superficiali sulla fila hanno i seguenti effetti: 1. interrompono la perdita di acqua per risalita capillare nel terreno, con immediati ed evidenti vantaggi in termine di risparmio idrico. 2. puliscono il filare dalla presenza di essenze erbacee che potenzialmente potrebbero entrare in competizione con il vigneto. 3. svolgono una azione di “disturbo” nei confronti delle radici delle viti, che pertanto vengono stimolate a svilupparsi negli strati più profondi del terreno. 4. Favoriscono la capacità di invaso ed assorbimento dell’acqua piovana rispetto al terreno lasciato interamente inerbito o diserbato.
  • 5. Di contro, la lavorazione superficiale ha i seguenti aspetti da considerare: 1. lungo il filare lavorato non abbiamo un importante accumulo di sostanza organica che possiamo invece verificare lungo i filari inerbiti e sfalciati. 2. nei periodi estivi, il movimento della terra può comportare una rottura dei capillizi radicali, che sono i più importanti per l’assorbimento dell’acqua, e causare pertanto un ulteriore effetto di stress per le piante. 3. le lavorazioni hanno un costo energetico derivante dalla movimentazione delle macchine, oltre che un costo di acquisto ed ammortamento delle attrezzature. Questo va valutato anche in relazione alle dimensioni aziendali, e nel caso degli appezzamenti di piccole dimensioni è opportuno coinvolgere i produttori in un acquisto collettivo dei mezzi meccanici necessari. Le lavorazioni di lavorazione superficiale del suolo consistono nella scalzatura seguita da rincalzatura, oppure dalla fresatura o dalla zappatura. La scalzatura seguita da rincalzatura va fatta in primavera (aprile – maggio) e ripetuta in estate (giugno – agosto); la fresatura o la zappatura vengono effettuate in primavera e ripetute durante l’estate in un numero di interventi legato all’andamento stagionale. Queste tecniche sono state adottate da secoli in tutte le aree agricole più esposte alla siccità, compresa la Valpolicella, perché funzionano bene ; nell’obiettivo di preservare la disponibilità idrica del suolo, danno buoni risultati. Il mercato offre numerose proposte in merito a macchine e attrezzature, da valutare caso per caso in base anche alle osservazioni ed esperienze personali. Allo stato attuale si trovano comunque molte macchine di facile utilizzo e buona efficacia, in conseguenza dell’evoluzione tecnologica dovuta al recente grande interesse verso questa tipologia di gestione del suolo. Le interfile, cioè lo spazio compreso tra un filare e l’altro, vanno invece nel nostro ambiente lasciate inerbite. Solo in alcuni terreni molto sciolti e ciottolosi si può prevedere una fresatura o estirpazione superficiale alterna delle interfile. L’inerbimento tra le interfile influisce non poco sui consumi idrici del suolo. Rappresenta infatti la quinta soluzione per contrastare il deficit idrico.
  • 6. L’erba tra le interfile va tenuta alta quanto più possibile, effettuando il primo sfalcio a fioritura completa, quindi verso metà – fine giugno. Un secondo eventuale sfalcio andrà fatto prima della vendemmia. Dal punto di vista estetico, un vigneto con una crescita avanzata di erba potrà non piacere molto rispetto ai ripetuti sfalci stile “campo da golf”, ma dal punto di vista funzionale, i vantaggi sono notevoli. A noi interessa ciò che offre dei risultati, ciò che funziona in merito ai nostri obiettivi, e non il solo aspetto estetico. Un sotto-vigneto sfalciato di frequente comporta l’apporto nel terreno di sostanza organica con basso contenuto di lignina e quindi velocemente mineralizzabile.L’apporto di sostanza organica in questi casi non è elevato, mentre notevole è l’esposizione all’erosione ed alla dispersione idrica. Un sotto-vigneto sfalciato a fioritura completa comporta invece un’alta presenza di lignina, in grado di rallentare la decomposizione della sostanza organica, favorendone l’accumulo. L’accumulo di sostanza organica e di steli semilegnosi delle essenze erbose agisce come una pacciamatura organica, favorendo l’assorbimento dell’acqua piovana ed ostacolando successivamente la sua evaporazione. La superficie fogliare del cotico erboso è anch’essa naturalmente soggetta ad evapotraspirazione, ma l’osservazione diretta in vigneto dimostra quanto questa sia inferiore rispetto ai tagli frequenti e rasi sul suolo. L’inerbimento prolungato fino alla fase della fioritura delle essenze erbacee, svolge inoltre un altro importante effetto collaterale: esso costituisce un ambiente favorevole alla proliferazione degli insetti utili, rappresentati soprattutto da Sirfidi, Coccinelle, Imenotteri parassitoidi e Crisope. Questi insetti contribuiscono in modo importante al controllo dei fitofagi, soprattutto delle larve di lepidotteri (Tignolette, tignole, eulia, ecc.), acari e tripidi. Le lavorazioni superficiali del suolo e la buona gestione delle interfile rappresentano quindi tecniche che, nell’obiettivo di contrastrare l’elevato stress idrico, funzionano, danno risultati apprezzabili, si avvicinano al nostro obiettivo. Cosa invece in questo contesto non funziona? Il diserbo. Con il diserbo lungo i filari teniamo il “rubinetto” sempre aperto dal suolo verso l’atmosfera, in quanto non lavorando superficialmente il suolo viene favorita la continua risalita capillare dell’acqua, con conseguente esposizione delle viti al deficit idrico. Un ulteriore svantaggio è rappresentato dal fatto che le radici delle stesse viti si sviluppano negli strati più superficiali del suolo, e pertanto sono più esposte alle maggiori temperature estive ed alle immediate carenze di acqua. Ai fini del risparmio idrico quindi il diserbo è una tecnica che non raggiunge l’obiettivo.
  • 7. Che dire infine dell’inerbimento totale del vigneto? Rispetto ad una lavorazione superficiale, il consumo idrico è maggiore, come maggiore la competizione nei confronti della vite. Comunque, soprattutto nei vigneti vigorosi, molto produttivi e con buona dotazione idrica, l’inerbimento totale non procura problemi, ma offre vantaggi. Il principale “deterrente” è dato dallo sfalcio dell’erba tra una pianta e l’altra, che richiede un impegnativo uso di decespugliatori o l’uso di macchine al momento non ancora ottimizzate per lo scopo. Un ostacolo nell’adozione di questa tecnica l’abbiamo quando dobbiamo rimpiazzare le fallanze nei vigneti già produttivi. Le giovani piante dovranno avere a disposizione un terreno pulito dalle essenze foraggere al fine di favorire la loro ottimale crescita, e la gestione di un vigneto interamente inerbito, con la contemporanea presenza di piante giovani e vecchie, non è semplice.
  • 8. Dal punto di vista dei costi energetici, 2 passaggi annui per lo sfalcio degli interfilari, come indicato in precedenza, rispetto ai 3 – 5 effettuati nella gestione del sotto-vigneto “stile campo da golf”, rappresentano una riduzione di almeno il 50%. Vi sono altre osservazioni da fare in merito alla gestione dell’inerbimento del sotto-vigneto ? Certamente : esiste un mondo ancora tutto da sviluppare. Si tratta dell’uso dei sovesci, cioè della semina di essenze foraggere che una volta cresciute andranno poi interrate. Il sovescio rappresenta una tecnica agronomica molto valida in alcune situazioni quali : 1. presenza di strati di terreno riportati in superficie in seguito a sbancamenti, quindi senza sostanza organica e poveri di fauna e flora batterica. Questi terreni rimangono pressoché sterili per diversi anni, e quando vengono piantati i nuovi vigneti, assistiamo ad uno sviluppo stentato, con presenza di giallumi, internodi ravvicinati e scarsa produzione. La pratica del sovescio con leguminose riporta il livello di fertilità e vitalità del terreno in pochi anni, favorendo la successiva crescita dei nuovi impianti senza grandi problemi. 2. presenza di terreni troppo fertili, con eccessiva presenza di sostanza organica non decomposta, oppure con dotazione di azoto elevata. In questi casi la vigorìa dei vigneti pregiudica la qualità della produzione ed ostacola la difesa fitosanitaria. La pratica del sovescio con graminacee aiuta in questo caso a riportare la fertilità a livelli ottimali per la coltivazione della vite. 3. presenza di terreni molto compatti, asfittici, dove le viti soffrono di morìa per assenza di aria e ristagno d’acqua. In questo caso la rippatura meccanica può dare grandi risultati, ma anche pratica 4.
  • 9. 5. della semina e sovescio con crucifere che sviluppano radici profonde e grosse, in grado, alla loro morte di arieggiare in modo efficace il terreno. Ci sono poi tutte le varie situazioni intermedie, ma il tema del sovescio fa parte di un’altro appuntamento. Per ora, vi faccio gli auguri per un buon inizio di vendemmia ! Negrar , 4 Settembre 2012 Il tecnico viticolo Per agr Claudio Oliboni